1-12 Dicembre 2015, Patna, Allahabad, Delhi.

Lo in India (again)




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Diario

India v.2
Lo parte per l'India una seconda volta! Approfitta del ponte dell'8 dicembre per andare a due conferenze di fila, ma per evitare di perdere una lezione, tenta l'impossibile: lezione a Pavia fino alle 18 e aereo intercontinentale da Malpensa alle 20. Bruciando quarto d'ora accademico e pausa, e limando 10 minuti dalla lezione, riesce a finire alle 1720 e scappa via correndo (letteralmente) alla macchina lasciata parcheggiata in posizione strategica. Arriva agilmente al terminal con 10 minuti di anticipo: alle 19 il check-in chiude e la scalcagnatissima air India non permette il check-in online sul quale Lo contava. Il loro sito ha il sistema di check-in online piu' complesso al mondo, dove viene richiesto anche il numero di scarpa e la lunghezza del naso e alla fine, al posto della carta di imbarco ti lascia una ricevuta da portare al check in, totalmente e completamente inutile. Air India vince di gran lunga il premio della peggiore compagnia al mondo, battuta agilmente anche da Iran air, dove gli aerei cadono in pezzi, ma almeno le hostess si fanno in quattro per accoglierti con i loro panini al "prosciutto" fatti a mano. In men che non si dica Lo arriva a Delhi, e riesce perfino a dormire, distrutto dall'exploit. Non si vede niente per tutto il viaggio perche' c'e' una nuvolaglia malaticcia e Lo non vedra' il cielo per tutta la sua permanenza in India: solo una nebbia lattigginosa e cielo bianco-padania. A Delhi, Lo incuriosito prova ad uscire dall'aereoporto: non l'avesse mai fatto, per rientrare in aereoporto, dove deve prendere il secondo volo fino a Patna, deve pescare tutti i suoi documenti, biglietti, carte d'imbarco, etc., ispezionati attentamente da un baffuto soldato massiccio armato di massiccio mitra. Da un angolo dietro ad una barriera antiproiettile, occhieggia il foro di un mitra che sembra quasi un obice. Che c'e' una guerra qui? Lo vede che c'e' un aereo precedente che va a Patna e prova (senza successo) a prenderlo. Comunque incontra Marco, importante scienziato di Torino, che e' distrutto perche' ha dormito 3 ore ed e' arrivato al gate alle 6 di mattina per scoprire che oggi, per qualche imperscrutabile e misterioso motivo, il volo per Patna e' stato spostato alle 10. Lo aspetta il volo successivo e arriva finalmente a Patna. L'aereoporto sembra uscito da una foto anni 50, con le scalette per scendere dall'aereo trascinate da scassatissimi trattori popolati da omini che di mestiere fanno i posizionatori di scalette. Le persone si dirigono a piedi al terminal e quindi lo sbarco dura meno di 5 minuti in tutto, perche' non puo' essere cosi' anche a Fiumicino?! All'uscita Lo trova subito lo studente "volontario" mandato dalla conferenza a prenderlo, in mezzo alla cacofonia di circa 5000 persone assiepate all'uscita. Saliamo in macchina e inizia il solito siparietto del traffico indiano. Le strade pullulano di ogni veicolo con ogni numero intero di ruote e animali con ogni numero intero di piedi/zampe. Il clacson viene usato senza parsimonia ma senza alcuna cattiveria o la minima malevolenza. Serve semplicemente a spiegare che sta arrivando un'auto, ed e' meglio spostarsi se non si vuole rimanere spiaccicati. L'auto di sicuro non frena, ne' rallenta. Lo guarda affascinato lo spettacolo dall'alto del suo scranno automobilistico di ricco occidentale. Siamo a Patna, la capitale del Bihar, lo stato piu' povero dell'India e si vede. Le strade sono coperte di spazzatura, gli slum si aprono in ogni direzione e le catapecchie danno direttamente sulla strada. Talvolta sono solo un telo tenuto da un palo, oppure una coperta marcia stesa per terra. Lo vede le famose mucche in mezzo alla strada caratteristiche dell'India. In un incrocio, qualcuno ha anche disposto un piccolo tappeto blu perche' la sua mucca possa sdraiarcisi sopra. Peccato le mucche che ignorano i pochi prati striminziti e preferiscono nutrirsi con gusto nei cumuli di spazzatura. Quando Lo scoprira' che questa mucche sono di proprieta' di gente che le usa per mungere, perdera' decisamente l'appetito per il latte. Il traffico motorizzato e' costituito soprattutto da Apecar Piaggio e da imitazioni indiane, stracolmi di persone e cose. In alcuni apecar ci stanno almeno una decina di persone. Tre o quattro stipate in prima fila (praticamente abbracciate al guidatore che deve tenere le braccia larghe sul manubrio), quattro o cinque sul banchetto posteriore, e altri tre o quattro sul pianale dietro. Talvolta qualcuno e' anche appeso fuori. In realta' quasi tutti i veicoli sono a locomozione umana. Molti i tricicli enormi, guidati da microscopici indiani e molte le biciclette massiccie nere e tutte identiche con i freni a bacchetta che erano antiche gia' ai tempi di Gandhi. Alcuni dei guidatori dei tricicli sembrano veramente passivi, chissa' quando hanno mangiato l'ultimo pasto decente. Sono sicuramente poverissimi con lo sguardo assente di chi non ha abbastanza calorie per far funzionare il cervello. Alcuni tricicli montano un sedile con una specie di parasole per portare le persone e molti altri montano un pianale in legno per trasportare materiali. Lo vede uno pieno di volantini. Avra' un metro cubo di carta, probabilmente pesa uno o due quintali, come fara' a pedalare? Ovviamente non sanno neanche cosa siano i rapporti, ed e' gia' un miracolo che hanno una specie di differenziale posteriore (che Lo cerca di comprendere) per poter curvare e magari i freni a bacchetta. Lo ridimensiona decisamente il suo orgoglio per aver pedalato con 50 kg di bici in giro per l'Islanda, ben pasciuto e vestito. La macchina procede piuttosto rapidamente nel traffico fittissimo. La tecnica e' la solita: qualunque passaggio intuito va seguito a clacson spianato, sfiorando i riscio' e gli sgangheratissimi massicci camion Tata per pochi nanometri. Si arriva infine all'elegante albergo della conferenza di fronte ad un enorme parco. Lo viene accolto dal sorridente Alok, l'organizzatore che si informa premuroso sul suo viaggio: e' molto accogliente. L'albergo e' abbastanza elegante in stile occidentale, anche se alcuni piccoli particolari ci ricordano che non siamo proprio a Manatthan, ad esempio la pacchianissima e orribile decorazione in vetro colorato dietro al bancone che sembra una serie di meduse rosse spatasciate su un vetro o un enorme disgustoso vetrino da microscopio coperto di globuli rossi. La luce ogni tanto va via e tutti rimangono al buio per qualche secondo finche' non partono i generatori di emergenza. Ben presto anche i conferenzieri ci fanno l'abitudine e sembra un gioco: la luce va via, lo speaker si interrompe, tutti si immobilizzano e aspettano pazientemente che si riaccenda la luce per riprendere a parlare come se niente fosse. Cionostante la conferenza procede molto bene: come al solito l'atmosfera di questi piccoli workshop e' molto rilassata ed e' la situazione migliore per le interazioni e gli scambi di idee. Il cibo viene servito direttamente nell'albergo. E' quasi immangiabile per via delle abbondanti spezie infuocate e sembra condito con magma fuso. Pero' il sapore e' veramente ottimo anche se alcune cose sono decisamente un po' pesanti. Le minestre di legumi sono ottime e Lo si scofana quintali di lenticchie condite da stranissime e multicolorate spezie. Conscio dei poveracci che dormono sui marciapiedi di fronte all'albergo, sta attentissimo a spolverare tutto quello che ha sul piatto, ma chiaramente non e' facile spapanzarsi tutto questo ben di dio guardando i miserabili dalla finestra. Anche se siamo al settimo piano, si intuiscono benissimo, sdraiati sul marciapiede tra i riscio' sgangherati e i rottami delle auto abbandonate. La stanza di Lo e' pulitissima e molto lussuosa. Come nell'albergo in Cina (anche quello un albergo elegantissimo), c'e' una specie di sipario che chiude la vetrata che separa la stanza da letto e il bagno. Rimane un mistero a cosa serva, lasciamo le interpretazioni alla fantasia. Le pesanti tende della finestra sono chiuse anche se e' giorno e Lo, curioso, le apre per trovarsi davanti una specie di panorama da post-apocalisse. Il palazzo di fronte e' sventrato in una profusione di macerie dentro cui lavorano decine di lavoratori-formiche che si danno da fare a tirare giu' i muri a mano con enormi mazze che probabilmente pesano piu' di loro. Hanno una tecnica molto particolare per cercare di trasferire quantita' di moto alle mazze. Altri muovono le macerie a mano (niente cariole), al massimo qualche secchio. Dei bimbi giocano con dei bastoni in un polverosissimo cortile. Sembra una specie di lotta da samurai, ma sembrano divertirsi molto in mezzo all'enorme polverone. Il palazzo successivo e' un casermone di cemento malandatissimo e la strada principale e' completamente allagata, le macchine procedono lentamente con enormi baffi di fango che i pedoni cercano disperatamente da evitare. La strada e' circondata da negozi, alcuni molto moderni che vendono cellulari o computer, altri sono poco piu' che minuscoli scatoloni di cartone con una personcina acciambellata dentro che vende quattro mercanzie patetiche. Le scritte sui negozi sono semplicemente verniciate. Sembra una scena presa da quei film di fantascienza distopici alla bladerunner. Alla sera, Lo fa una lunga passeggiata lungo le strade che fiancheggiano l'albergo. Scoprira' solo dopo che non sono affatto zone tranquille, ma nessuno lo degna minimamente di uno sguardo. Ciononostante deve spiccare non poco. Sicuramente e' l'unico straniero in giro. In tutta la settimana a Patna, non incontriamo un singolo non-indiano che non sia un conferenziere. Qui siamo proprio nell'India piu' profonda, molto molto lontano dai circuiti turistici. Il sito della Lonely Planet e' lapidario su Patna: non c'e' niente da vedere. L'unico momento in cui Lo si sente gli sguardi (divertiti) delle persone addosso e' quando si inoltra nella zona del Bazaar alla ricerca del complicatissimo vestito per Lu ("mi raccomando Lo, deve essere azzurro con sfumature blu"). Evidentemente e' l'ultimo posto dove si aspettano di vedere uno straniero. L'intera strada, anzi l'intero quartiere, sembra un complicatissimo e vivacissimo Bazaar. Si vende di tutto: dalle uova sode (che la gente mangia sul posto, scartando il guscio sulla strada), alle verdure multi colorate, alle spezie, gioielli, oggetti di ferramenta, biciclette, libri, vestiti, animali vivi e/o morti, pastella fritta e cibi di ogni tipo. L'unica cosa che stranamente manca, per fortuna, e' la paccottiglia cinese che si trova ormai in qualunque mercato del mondo, compreso Delhi. Qui forse e' l'unico posto dove la Cina non e' ancora arrivata, o, e' arrivata in tono minore. La pressione umana e' fortissima e milioni di persone si affaccendano nei loro traffici. Una bimba microscopica e vestita di stracci passa con al guinzaglio un'enorme mucca, come se niente fosse. Una stranissima processione interrompe il traffico. Una dozzina di uomini portano sulla testa una batteria d'auto (ahia!) con sopra una impalcatura di luci sbrilluccicanti. Danzando (come si fa a danzare con una batteria d'auto in testa?) seguono un enorme carro pieno di altoparlanti a tromba da cui parte una musica unz-unz fortissima. La processione e' seguita da persone danzanti. Probabilmente si tratta di uno dei vari momenti delle celebrazioni degli elaboratissimi matrimoni indiani. (Un altro aspetto celebrativo deve essere legato a stranissimi carri completamente argentati e decorati, trainati da cavalli che incontriamo piu' nel corso dei giorni successivi). Inoltre, sembra che l'arca di Noe' abbia attraccato poco distante e Lo incontra per le strade della affollata metropoli cani pulciosissimi, gatti emaciati, microscopici asini in miniatura, enormi maiali, ieratici bufali dalle corna piatte, mucche che grufolano nella spazzatura, scoiattoli che zampettano sugli alberi del parco, ma la scena animalesca piu' incredibile si svolge il giorno dopo al parco. Intanto Lo passeggia a lungo a occhi sgranati nel bazaar/strada. Ogni tanto qualcuno si cala le braghe all'angolo della strada e fa i suoi bisogni senza troppi problemi (i maschi, le femmine sembrano un po' piu' pudiche). C'e' anche una competizione di sputi e ogni tanto qualcuno erutta un fiotto di bava rossa, di una qualche bacca che stava masticando che va molto di moda, ma evidentemente non va ingoiata. La cacofonia e' incredibile, ma in mezzo a tutto il baccano c'e' anche spazio per la spiritualita' e un paio di minuscoli tempietti sorgono sotto a degli alberi in mezzo alla strada asfaltata. Dentro ci sono degli idoli a forma di scimmia. Sulle pareti di altri tempietti ci sono dei cobra in rilievo. Alcune persone dormono tranquillamente sui marciapiedi, talvolta con solo una coperta, altre volte con elaborate baracche di teli di nylon e cartone. Lungo la strada arrugginiscono rottami contorti di antiche auto, autobus e camion abbandonati li' da decenni, forse. Alla fine Lo torna stremato e rintronato in albergo. Il tempo di dimezzamento non supera la mezz'ora: dopo, lo smog delle scassatissime macchine e camion, gli incessabili clacson, la puzza della spazzatura marcescente e dei liquami che bordano la strada, la cacofonia di migliaia di voci diventano improponibili. Il giorno dopo si dirige verso il parco dove aveva visto un'enorme struttura, stile festival dell'unita', ma con un portale con enormi foto orribili di un panzone, che lo incuriosisce. E' un'enorme struttura che accoglie i pellegrini di un santo Indu', che predica da un alto trono in cima ad un palcoscenico. Putroppo per oggi ha gia' finito e sono rimasti solo alcuni pellegrini che stanno forse pregando in un angolo. Altri pellegrini sembrano dormire sotto il palco, oppure sono in profonda meditazione? Lo viene approcciato da un ragazzo indiano che gli dichiara orgoglioso che sta facendo un dottorato in filosofia ad una universita' poco lontano. Sembra quasi scusarsi mentre gli spiega cosa sta accadendo, e si affretta a dire che la vera religione non e' questa pacchianeria esteriore, ma e' interna. Sara', ma il santo indu' ha un notevole seguito e in fondo al complesso c'e' un banchetto che vende le sue immagini, i suoi santini in ogni posa e con ogni possibile abbigliamento: in alcuni quadri dorati e' abbigliato come un maraja, con tanto di alto turbante. Ha una rotonda faccia bovina a cui non presteresti neanche i soldi per il caffe', ma evidentemente ha molto successo e la gente fa la fila al banchetto per comprare le collanine di plastica dorata. C'e' anche un tendone quadrato dove la gente va a pregare una qualche divinita' indu' dai lunghi capelli neri. Preghiera, offerta, e processione nella tenda attorno alla statua. Donne con saree elegantissimi e multicolorati, portano minuscoli bimbetti a essere benedetti da una specie di monaco sotto la statua. L'atmosfera sembra molto rilassata e gradevole. Appena fuori dal tendone, vari venditori ambulanti vendono i loro cibi. Portano dei minuscoli piccoli banchetti circolari (sostanzialmente dei grandi vassoi) con varie mercanzie disposte piu' per colore che per categoria. Lo si dirige verso l'enorme spianata dominata da una grandissima statua di Gandhi e accade l'episodio clou del suo giro in India. Appare un panciuto centauro a cavallo di una scassatissima moto nera sovietica. Aggrappato al manubrio tra le sue braccia c'e' una piccola scimmietta e su un improvvisato pianale posteriore di legno legato con delle cinghie riposano tre cani con la lingua penzoloni. Lo si mangia le mani fino ai gomiti per aver lasciato la macchina foto in albergo, avrebbe senz'altro vinto il premio Pulitzer quest'anno. Non tanto per l'improbabilita' della scena, quanto per l'espressione supercool del panciuto guidatore indiano con improbili occhiali da sole mosca. Altro che easy-rider! Accanto alla spianata c'e' uno strano alzabandiera di cemento su cui dei bimbetti si stanno divertendo un sacco. Per il resto della giornata la spianata viene usata da dei soldati che fanno manovre e sfilate sotto lo sguardo dei severi generali portati in giro da immacolatissime, quanto antichissime jeep militari. Lo, assieme ai conferenzieri, durante la pausa dei coffee-break li guarda curioso e si ricorda la frase di Einstein riguardo alle sfilate, qualcosa del tipo "ogni volta che vedo una sfilata di soldati penso che a loro il cervello sia stato dato per sbaglio". Una delle mattine, al parco accade la sfilata dei comunisti. C'e' una schiera di persone di estrazione sociale molto diversa: donne dagli eleganti saree accanto a straccioni vestiti di pezze. Alcuni in piedi, altri sdraiati per terra. Alcuni stanno mangiando una specie di improvvisato picnic. Un paio hanno alcune bandiere rosse con una inconfondibile falce e martello artigianalmente cucita sopra assieme a scritte nell'indecifrabile alfabeto hindi. Non succede niente. Stanno semplicemente li'. Strana manifestazione... Una sera, Lo, Francesco, Marco e X (israeliano nato a Leningrado) fanno una lunga passeggiata nel parco. Lo ne approfitta per chiedergli cosa ne pensa del problema palestinese e se per caso pensa che l'educazione possa essere un modo per uscirne. Rimane abbastanza attonito dalla risposta che sostanzialmente e', "meglio lasciarli ignoranti e convincerli ad andarsene". X e' un ottimo scienziato, riconosciuto a livello internazionale, ma Lo si chiede se non sia cosi' duro per via delle sue origini russe. Qualche giorno dopo riprovera' con Y, altro israeliano (stavolta vero) che sembra distanziarsi da X dicendo che egli e' un estremista legato a delle fazioni di estrema destra, ma la sua posizione non si distanzia di molto. Quando Lo lo incalza chiedendogli se secondo lui l'educazione non possa essere un modo per migliorare la situazione, Y risponde lapidario: "per migliorare la situazione di chi?" La sua tesi sembra essere che ogni forma di concessione verso gli arabi diventa un problema per la sopravvivenza dello stato israeliano, perche' una situazione in cui gli arabi (palestinesi) sono colti non puo' che rafforzarli e mettere ulteriormente in difficolta' Israele. Conclude che senz'altro aumentare l'educazione degli arabi sarebbe positivo per loro, ma negativo per Israele. Anzi, rincara la dose esprimendo un concetto strano sul fatto che la comunita' internazionale deve capire che i diritti umani vanno adattati alla situazione contingente. Quando Lo gli dice che lui aveva trovato Israele lo stato piu' religioso che avesse mai visitato, Y nega con forza, nonostante Lo gli faccia notare che i banchi del loro parlamento sono disposti a forma di candelabro a sette braccia e il muro di fondo alla sala e' a forma di muro del pianto. Y dice che Israele non e' la nazione della religione ebraica, ma e' la nazione degli ebrei. Lo rimane un po' interdetto, finche' non capisce che lui intende qualcosa tipo "razza ebraica" (come se un tale concetto esista) o forse "stirpe ebraica". Chiedendo delucidazioni, Lo scopre che perfino lui stesso potrebbe richiedere un passaporto israeliano, perche' basta che uno dei tuoi nonni sia ebreo. "Se sei abbastanza ebreo da essere ucciso da Hitler, sei abbastanza ebreo per ottenere un passaporto israeliano" conclude lapidario X. Lo e' attonito a sentire l'intellighenzia israeliana che esprime tali concetti. Chiaramente X e' uno molto conservativo, ma Y, per sua stessa ammissione e' ateo e progressista, alla faccia! Lo cerca di spiegare quello a cui aveva assistito in Iran, dove proprio dalle universita' stanno venendo le (uniche?) spinte riformiste serie per il paese, oltre al fatto che in tutte le dittature che ha visitato, le universita' sono sempre dei luoghi franchi dove il governo non riesce ad esercitare il suo controllo. Chiaramente sono trasformazioni molto lente e richiedono molta pazienza. Y non e' affatto convinto, ma forse a lui (e agli israeliani) non interessano soluzioni a lungo termine, ma immediate. Del resto forse la cosa e' comprensibile: sono otto milioni di abitanti (meno della Lombardia) circondati da nazioni dichiaratemente ostili. Quando passeggiano per strada rischiano di essere accoltellati, che gli cada un missile addosso o che gli esploda un'autobomba. Sicuramente un certo grado di paranoia e' inevitabile, cosi' come la loro voglia di normalita'... Lo aveva tentato di andare a tenere un mini-corso in un'universita' palestinese nell'ambito del programma Erasmus e si rende conto che prima di procedere dovra' cercare di capire molto meglio la complessa situazione. La cosa piu' incongrua di tutta la discussione con Y e' che avviene durante un lungo tragitto in taxi nelle caotiche strade della citta'. Basta guardare fuori dai finestrini per vedere un incredibile esempio di tolleranza e convivenza. In India il 20% sono mussulmani, cioe' 200 milioni di persone (2/3 della popolazione degli USA). La gente non si rende conto che ci sono piu' mussulmani in India che in Pakistan. Ciononostante in India c'e' un incredibile convivenza pacifica. Naturalmente con qualche eccezione (veniamo a conoscere della persecuzione dei Sikh, di cui nessuno praticamente parla), ma considerata la pressione umana e la convivenza forzata di popolazioni tanto diverse, queste eccezioni sono ridicole. Peccato che la soluzione indiana non possa venire esportata in altre regioni, ma appoggia su una radicatissima tradizione culturale. Lo, incuriosito chiede a un po' di indiani come cio' sia possibile. Sudhakar, un importante professore di Calcutta, dice che alcuni lo attribuiscono alla fatalita' degli indiani, "fatalita'" nel senso di "accettazione del fato": e' inutile arrabiarsi e combattere contro il proprio destino, e' meglio accettarlo. Questo e' un tratto culturale molto profondo per gli indiani, che si riflette anche nel sistema delle caste. Sudhakar, pero' afferma che secondo lui cio' e' falso, anche se poi finisce per dire sostanzialmente la stessa cosa. Dice che e' questione di abitudine. Se uno e' figlio di contadini, allora e' abituato ad essere un contadino e non aspira ad altro. Chiaramente questo stato di cose non e' idilliaco, perche' tende a smorzare ogni cambiamento e ogni miglioramento della situazione. Pero' senz'altro permette un controllo sociale allucinante: gente di ogni estrazione sociale, economica e culturale che vive letteralmente una sull'altra senza mai arrabiarsi, ne' alzare la voce, ne' quasi interagire. Una societa' incredibile. Lo rimane sempre stupito nell'osservare come cio' sia possibile. E' un sistema estremamente complesso e ogni possibile modifica andra' fatta in modo graduale per evitare un collasso sociale allucinante: 1 miliardo di persone che abitano in un fazzoletto di terra. Altri indiani confermeranno l'interpretazione della fatalita' come maggiore controllore sociale. Il sistema delle caste e' ufficialmente abolito e sarebbe assolutamente vietato farne uso, ma e' il governo stesso che e' il primo a violare tale norma, visto che esistono delle quote negli impieghi pubblici destinati alle varie caste (e forse anche nelle universita'). Lo, incuriosito, chiede se la casta si puo' scoprire guardando una persona (vestiti, etc.), ma viene guardato scandalizzato, pero' talvolta la casta si puo' sapere dal nome. Torniamo con i nostri eroi impegnati a girare per le strade di Patna: in un angolo del parco, dall'altro lato della strada hanno stranamente scoperto un negozio di Macdonald, non c'e' scampo! Incuriositi i nostri eroi si avvicinano come ad un miraggio di una civilta' ormai alle nostre spalle. Chiaramente nessun hamburger qui, la mucca e' un animale sacro, quindi solo fishburger e chickenburger. La gallina e' l'unico povero animale che viene mangiato da tutti impunemente, cristianiebreimussulmaniindu'. Per ricordarci dove siamo, parcheggiati di fronte a macdonalds tre asini museggiano nella spazzatura. Lo e Marco si addentrano nel bazaar per un'altra strada, parlando di politica accademica italiana, probabilmente ispirati dal caos di quello che ci accade intorno: poche, prepotenti auto si fanno strada in mezzo ai pezzenti a forza di clacson nel bailamme generale di bestie, biciclette e templi indu'. Lo analizza un parcheggio di biciclette e scopre che non sono lucchettate, ma probabilmente ci sara' un custode che vigila li' vicino per pochi soldi. Qualunque cosa viene sfruttata per inventarsi un mestiere qui, quindi probabilmente anche il mestiere di "lucchetto". In un angolo c'e' una bancarella di libri e Marco curiosa le mappe per vedere come e' stato segnato il confine con il Pakistan. Nella dichiarazione doganale all'ingresso del paese, le cose proibite da importare sono indicate molto chiaramente: armi da guerra, droghe, virus e mappe che segnano in maniera non corretta i confini nazionali dell'India. Ad un certo punto ci troviamo in mezzo al mercato della verdura, ma poi l'illuminazione pubblica (in realta' i lampioni sono privati, di proprieta' dei negozi e delle bancarelle) finiscono e ci troviamo in una strada buia in mezzo ad una bidonville. Marco e' decisamente preoccupato e torniamo sui nostri passi rapidamente. Lo e' tranquillo, ma sa che Marco e' un turista professionista e si fida senz'altro della sua intuizione. Per la verita' nessuno ci degna di uno sguardo per tutta la nostra lunga passeggiata. Non riusciamo ad arrivare al Gange, ma passiamo accanto all'ospedale. Sotto una tettoia vediamo un'intera tribu' di poveracci accampati li', magari sono i parenti dei malati? Sembrano tranquillissimi, chissa' che malattie ci sono dietro queste mura. Il giorno dopo la conferenza finisce alla mattina e i locali organizzano una gita al loro istituto che e' proprio sulle rive del Gange. I conferenzieri decidono che vale la pena attraversare il fiume per vedere cosa c'e' dall'altra parte e salgono su instabili barconi di legno sulle rive fangose del fiume. Il fiume e' qui talmente largo che c'e' un unico ponte nel raggio di 60 km ed e' perennemente totalmente intasato dal traffico. Alcuni conferenzieri di stazza importante hanno qualche problema a salire sul barcone, ma Lo salta su deciso, forse un po' troppo: il legno del barcone e' piuttosto marcio e rischia di sfondare la chiglia. Anche qui succede il siparietto: il barconiere (dopo aver fatto salire tutti e aver mollato gli ormeggi) si rifiuta di fare partire il motore e inizia a discutere con Alok sul prezzo da spillargli. Ha visto gli stranieri e non si vuole fare sfuggire l'occasione. Alok mercanteggia con abilita' mentre i conferenzieri guardano preoccupati la riva che si allontana. Alla fine i contendenti sembrano raggiungere un accordo soddisfacente perche' l'incrostatissimo motore diesel viene avviato con uno strattone deciso e l'improbabile arca attraversa decisa, con un orgoglioso capitano alla rozza barra del timone che contolla l'acceleratore dello scassatissimo diesel con un cordone di canapa. Chissa' se aveva mai traghettato un tale improbabile carico di fisici pazzi da tutto il mondo? Arriviamo dall'altra parte e sbarchiamo attoniti. Sembra di essere atterrati su un altro pianeta. Siamo passati dal centro di una caotica, rumorosissima e puzzolentissima metropoli alla campagna piu' desolata semplicemente attraversando 200 metri di fiume. Non c'e' una singola casa in vista, ne' alcuna costruzione di mattoni. Solo delle misere capanne di canne. Quelle sulla riva sembrano delle specie di baretti, ma poco distante sono capanne dove vivono i contadini che coltivano i campi qui. Siamo su un enorme isola di 6km per 7 in mezzo al fiume, e non ci sono ponti che arrivano qui. Vediamo gente che si da' un gran daffare in un campo di strani fiori gialli. "Mostarda" dice sicuro Alok. Scambiamo due chiacchiere con un improbabile contadino avvolto in una tunica sgargiante, dalla folta barba e gran sorriso che sorprendentemente parla inglese e ci chiede di dove siamo. Camminiamo attraverso i campi e attraversiamo uno degli assembramenti di baracche dopo aver chiesto a gesti ad una vecchietta se potevamo. Veramente sono baracche minuscole. Passeggiamo sulla riva al tramonto e poi riprendiamo il "traghetto" per il rientro, stavolta, sorprendentemente, senza che il guidatore obietti sul prezzo. Sulla sponda cittadina ci attende una cacofonia incredibile: una banda sta suonando una veloce musica cadenzata da fortissimi tamburi. Ci affacciamo in un cortile e vediamo una schiera di ragazze e bambine che stanno ballando freneticamente nei loro multicolorati vestiti. Si divertono un sacco e, vedendo le nostre macchine fotografiche, si sfrenano ancora di piu'. Il giorno dopo c'e' l'escursione della conferenza. Si va a Bodhgaya, come scopriremo, e' forse il posto piu' sacro del buddismo. Ci si sveglia prestissimo, sono solo un centinaio di km, ma visto lo stato delle strade e del traffico, ci vorranno 3-4 ore di viaggio. In effetti poco dopo la partenza siamo completamente bloccati in un imbottigliamento di multicolorati camion indiani, elegantemente decorati a mano, che tentano disperatamente di entrare in citta'. Una fila ininterrotta di camion fermi dura parecchi km. Il nostro autista spiega che talvolta l'ingorgo dura anche una giornata o piu'. Altro che Barberino-Roncobilaccio! Usciamo dalla macchina immobile per fare due passi e vediamo le foto pornografiche dei camionisti mussulmani: una donna che con sguardo malizioso fa il gesto di togliersi il velo ...dalla faccia. Usciti dalla citta', attraversiamo diversi sperdutissimi paesini che sembrano completamente fuori dal mondo. Alcuni sembra non abbiano neanche la corrente elettrica, altri sembrano dei centri piu' grandi, tutti sono strabordanti di persone indaffarate a curare le capre, a pedalare i loro macinini, a cucinare in pentole annerite su focolari in mezzo alla strada, a battere enormi ciuffi d'erba contro i sassi (per estrarre i semi?), e a vendere le loro merci. Piu' ci allontaniamo dalla citta' e piu' diminuisce il (gia' scarso) traffico di auto. Rimangono solo trattori, scassatissimi camion, apecar, ma soprattutto tricicli e biciclette. Arriviamo a Bodhgaya e finalmente si vedono degli altri stranieri. Anzi, miriadi di stranieri da ogni parte del mondo buddista: Vietnam, Laos, Tibet, Cambogia, etc.etc. Ci fermiamo di fronte al tempio tibetano dove pare abiti spesso il Dalai Lama e ci avviamo verso il tempio principale. All'ingresso veniamo presi d'assalto dai venditori ambulanti di ogni cosa. Marco acquista una noce di cocco. Il venditore con gesto esperto la spunta con un machete, ci infila una cannuccia e la porge a Marco che si beve il succo con gusto. Purtroppo la polpa (senza un altro machete) e' irraggiungibile. Mendicanti che si trascinano (letteralmente) nella polvere si mescolano a truffatori, venditori di immagini di Budda e di foglie del suo albero. Non si puo' portare dentro niente tranne le offerte per il tempio, ma (previo pagamento di 100 rupie) si puo' portare la propria macchina foto. I nostri eroi sono forzati a lasciare i propri telefoni cellulari alle guardie dell'ingresso, anche se non mancheranno di notare i monaci vestiti di tuniche arancioni con l'iphone dentro il tempio. Il tempio e' abbastanza impressionante, ma forse (vista l'importanza del luogo) non cosi' come lo sarebbe stato per altre religioni, sottolineando la semplicita' della religione buddista. C'e' un raduno intercontinentale di canti buddisti. Ogni delegazione si e' portata il proprio sistema di amplificazione e fanno a gara di volume esibendo i propri campioni di canto che affrontano noiosissimi mantra che sembrano rantoli di sofferenza. Di sicuro non sembra una musica molto raffinata (understatement!) Lo scopo chiaramente non e' quello di elevare l'animo, ma di distaccarlo da tutto e annientarlo. Nella cacofonia generale e nel caos di persone che circondano il tempio e' decisamente difficile (impossibile per Lo) farsi prendere dalla spiritualita' che pure e' l'aspetto piu' importante del buddismo. La visita nel tempio e' anticlimatica. Dobbiamo lasciare le scarpe sotto ad un cespuglio. "Penso che le troveremo" afferma il nostro cicerone, un simpatico studente di Alok, "altrimenti basta prenderne un altro paio". Speriamo bene! Lo e' favorito dal fatto che le sue scarpe hanno un soave profumo con velate sfumature che neanche un pulitore di fogne oserebbe avvicinarsi e quindi e' ottimista. Ci dirigiamo nella calca e ci mettiamo in fila per visitare il sancta-sanctorum. In breve siamo dentro alla struttura e ci troviamo davanti ad un enorme budda dorato. Le persone che sfilano davanti porgono offerte: cibo e fiori. Un grasso monaco sudato industriosamente spazza via i fiori in un enorme bidone della spazzatura ricolmo di petali e ridistribuisce vociante le offerte ai visitatori. Cerca perfino di propinare un tetrapak di sugo di frutta a Lo, il quale declina imbarazzato. Magari qualche poveretto ha speso una cifra per lui considerevole per portare questa offerta a Budda, perche' mai ne dovrebbe giovare il quasi-altrettanto-pasciuto Lo? I ragazzi della conferenza non si fanno altrettanti scrupoli e presto si dividono un enorme pacco di biscotti al cioccolato fra loro. Lo spettacolo e' veramente poco spirituale, ma ciononostante alcuni monaci e alcuni pellegrini sono chiaramente in contemplazione e pregano inginocchiati in mezzo al bailamme. Lo ammira stupito la capacita' di meditazione dei buddisti. Dopo si gira attorno al tempio. Una successione di fiori di loto in pietra indica dove Budda calpesto' questo pavimento mentre passeggiava in meditazione in questi luoghi. Lo non puo' fare a meno di notare che questo implica che aveva gambe lunghe non meno di una decina di metri. Dietro al tempio c'e' il luogo piu' sacro, che e' l'albero sotto cui Budda ricevette l'illuminazione dopo una settimana di contemplazione. Una religione il cui luogo piu' sacro e' un albero all'aria aperta senz'altro riceve l'approvazione di Lo che guarda a bocca aperta i monaci arancioni e i pellegrini di ogni colore e razza che pregano, ridono, cantano e chiacchierano in mille diverse lingue, sotto il bombardamento della cacofonia di una mezza dozzina di mantra scoordinati da 1000 W di amplificazione audio ciascuno. Dietro l'albero, due buffi elefanti a scala 1:2 fatti interamente di fiori fronteggiano l'ampia delegazione vietnamita sul cui palco si susseguono monaci dalle potenti tonsille. Lo non e' forse la persona piu' spirituale, ma suppongo ci voglia una spiritualita' molto potente per astrarsi dal bailamme (a cui noi pure diamo un notevole contributo) come fanno molti pellegrini immersi in preghiera. In un angolo alcuni pellegrini distribuiscono "fotografie" di Budda. Finalmente la visita e' finita e usciamo lungo un passaggio dove un filare di alberi fa da bandiera dell'India: i tronchi sono dipinti di arancione e bianco e la chioma verde completa la bandiera. Prossima tappa, un altro villaggio poco distante dove c'e' un tempio indu' molto bello. Il turista-professionista Marco sembra dubbioso, e ancora una volta si rivela preparatissimo: come affermato dalla sua guida tale tempio e' accessibile solo per gli indu', e la nostra multiculturale-multietnica-multinazionale comitiva non puo' certo passare inosservata. Ci limitiamo quindi a fare una interessante passeggiata per lo sperdutissimo villaggio che circonda il tempio, sembra veramente di essere tornati indietro nel tempo di mille, duemila anni o giu' di li'. Le stradine microscopiche non permettono il passaggio di veicoli, ma le mucche sono libere di circolare. Lo si guadagna punti-nirvana quando aziona una pompa a mano per dare da bere ad una assetata mucca che stazionava perplessa di fronte alla pompa, nell'attesa che qualcuno faccia la magia dell'acqua. Poco distante c'e' la "bottega" del barbiere, costituita da un barbiere accovacciato in mezzo alla piazza che rade con cura un signore con un affilato rasoio a mano libera. Il villaggio affaccia su un larghissimo fiume completamente secco. Per fare le cerimonie religiose, hanno dovuto scavare un profondo fosso per arrivare all'acqua. Curiosamente piu' in la' c'e' un enorme falo' di legna. A giudicare dalle signore in lacrime poco lontano, intuiamo che si tratta di un funerale: evidentemente stanno bruciando qualcuno dentro il fuoco. Di fronte ci sono i banchetti dei venditori di legna per i falo', e dietro inizia un piccolo bazaar. Alcuni conferenzieri (soprattutto indiani) si fermano alle bancarelle a mangiare. Lo, dopo aver osservato un signore dalla camicia lurida che impasta le frittelle con i piedi nudi sul tavolo, decide di soprassedere. Eppure la sua bancarella e' una delle piu' gettonate del bazaar e un suo illustre collega vende enormi mucchi di frittelle pesandole con attenzione su una enorme bilancia a due bracci usando dei vecchi pesi rugginosi. Probabilmente quello che vediamo oggi sarebbe accaduto tale e quale nei passati tremila anni. L'unico tocco di modernita' (si fa per dire) viene dagli scassatissimi autobus dei pellegrini parcheggiati di fronte. Quello bianco ha dipinto a mano a caratteri cubitali rossi un improbabile marca "volvo" sulla parte posteriore, evidentemente il mito della volvo e' arrivato fino in India (vero Lu?) Altrettanto evidentemente nessuno ha la piu' pallida idea di cosa sia una Volvo. Sotto al tempio stanno riparando un muro e Lo assiste attonito alla "carriola umana". Una povera ragazza vestita con uno sgargiante saree, va su e giu' portando mattoni. Si carica con attenzione otto mattoni sulla testa e poi si avvia con passo lento e attento lungo una scala, fino alla pila di mattoni dove scarica il suo carico. Sembra stanchissima, ma non si ferma neanche un attimo sotto il sole a picco. Spesso Lo assiste a gente che porta pesi sulla testa. Non e' sicuramente il modo piu' comodo di trasportare roba, ma se non puoi permetterti uno zaino, una cariola o un secchio, come altro puoi trasportare le cose? Anche qui veniamo circondati da mendicanti, inclusa una bimba coi capelli corti e degli occhi che sembra ti leggano l'anima e Lo deve scappare prima che lei lo legga. Di fronte al parcheggio, un babbuino e' legato ad un albero e passeggia nervosamente su e giu'. Ora sarebbe ora di rientrare, ma ci propongono un'ulteriore attrazione e accettiamo volentieri. Un altro lungo giro in macchina attraverso l'India piu' profonda ci porta in un altro luogo molto improbabile. Una fonte termale in un tempio. Entriamo incuriositi nel complesso, ma veniamo fermati imperiosamente. Bisogna anche qui togliersi le scarpe! Lo e Marco guardano dubbiosi la melma lercia pesticciata da diecimila pellegrini e decidono di soprassedere. Lo studente che ci guida invece e' gia' in mutande pronto a tuffarsi. Notando il nostro disagio, inizia ad argomentare con la guardia ed e' convincente: ci permette di entrare anche tenendo le scarpe. Un panciuto pellegrino si avvicina a Lo e inizia a recitare un elaborata preghiera in cui entra il suo nome e il nome di tutti i parenti, ma e' evidente che non e' molto convinto e si scopre presto che vuole solo scucirgli dei soldi perche' termina con una richiesta di un'offerta. Gli va male stavolta, perche' Lo non ha neanche una rupia con se'. Infatti Lo non aveva cambiato perche' Alok gli aveva promesso che gli avrebbe rimborsato il viaggio aereo. Pero' una volta arrivato si era reso conto che nonostante la sua promessa, Alok avrebbe volentieri evitato: era chiaramente un po' in difficolta'. Lo si era sentito un verme a chiedere di farsi pagare il viaggio dallo stato piu' povero dell'India e (grazie alla efficientissima segretaria del suo dipartimento) era riuscito ad evitare, raschiando il fondo del barile (anzi sfondando il fondo del barile) del suo esiguissimo fondo di ricerca. Possibile che perfino in Bihar capiscano quanto sia importante investire nella ricerca, ma non in Italia? La comitiva si dirige verso uno dei ristorantini. Lo decide di soprassedere dopo aver dato un'occhiata e una annusata per sbaglio alla cucina, dove un coltello e' appoggiato al pavimento e tutto e' coperto da una coltre nera uniforme che arriva fino a meta' parete. Di per se' non sarebbe particolarmente schizzinoso (anche perche' tanto il cibo e' talmente speziato che potrebbe neutralizzare anche la peste bubbonica), ma ha promesso a se stesso che non vuole ammalarsi stavolta e che stara' attentissimo. Saluta la comitiva e, nonostante gli studenti cerchino in tutti i modi di dissuaderlo (perche'?) si avvia verso la collina dietro le terme. C'e' un ampio sentiero di pietre e Lo si avvia deciso. Prima incontra delle povere bancarelle che vendono cibo e acqua. Poi incontra una fila di mendicanti che mostrano le loro deformita' incredibili (uno ha una specie di enorme bubbone che gli pende dall'ascella fino quasi all'inguine). Poi altri venditori e dei pellegrini. Lo ignora tutti e si dirige su di buon passo, curioso di vedere il panorama. Purtroppo, come durante tutta la sua permanenza in India, c'e' una pesantissima foschia (praticamente nebbia) e si vede ben poco. Ad un certo punto viene fermato da due poliziotti con enormi bastoni bianchi che si sdilinguano in elaborate spiegazioni. Lo non capisce cosa vogliano, l'unica cosa chiara e' che e' vietato proseguire. Continuano ad indicare l'orologio al polso di Lo. Forse e' troppo tardi? Forse e' pericoloso a quest'ora? Forse e' gia' chiuso? Forse stanno offrendo la loro protezione? Lo non capisce, saluta, e ritorna sui suoi passi, tanto c'e' ben poco da vedere dall'alto. Nota con ammirazione che i mendicanti sono evaporati, forse alla vista dei poliziotti? Ritorna al ristorante dove la comitiva sta amenamente mangiando. Pure Marco ha acquistato un ottimo piatto di gallina al curry e se la sta gustando senza poi risentirne. Lo e' stato troppo conservativo, ma meglio non rischiare. Visitiamo un bel giardino che era stato regalato a Budda in persona dal governatore di allora, e passeggiamo lungo i viali attorno ad un enorme piscina che egli percorreva in meditazione. Anche qui un nutrito gruppo di pellegrini e' raccolto in preghiera, ma qui almeno e' molto pacifico. Si rientra a Patna e di nuovo rimaniamo bloccati nel traffico dei camion anche se stavolta abbiamo preso una strada diversa. Dopo un po' ci rendiamo conto che i camion sono completamente abbandonati dagli autisti: il motore e' spento e non c'e' nessuno dentro. Probabilmente gli autisti hanno deciso che l'ingorgo non si sarebbe risolto entro oggi e se ne sono tornati a casa a piedi o in bici, abbandonando i camion... Il nostro tassista non si da' per vinto. Per un po' prosegue in fuoristrada lungo una pista accanto alla autostrada, ma quando questa finisce, decide per la soluzione drastica. A clacson spianato, scavalca il marciapiede ed entra nella corsia di marcia opposta, schivando abilmente il traffico che ci arriva incontro a tutta velocita'. Siamo tutti convinti di morire presto, e quelli religiosi tra noi intonano i canti funebri, ma miracolosamente sopravviviamo. Il giorno dopo Lo deve andare ad Allahabad alla conferenza successiva. La citta' dista solo 300km e Lo ingenuamente ha deciso di andare in treno. Gli sembra strano che Arun (il suo collega di Allahabad che lo ha aiutato ad acquistare il biglietto) gli abbia preso un biglietto per un treno che parte alle 5 di mattina, che fretta c'e', ha tutta la giornata? Scoprira' presto a sue spese perche': questo "semplice" viaggio durera' in effetti praticamente tutta la giornata ed egli arrivera' ad Allahabad solo verso le 14. Il taxi lo lascia all'ingresso della affollata stazione e Lo si avvia deciso ai binari. Nonostante le raccomandazioni di Alok, Lo si trova subito in difficolta'. Le indicazioni sui tabelloni sono in hindi, ma per fortuna i numeri sono comprensibili (anche se esiste un sistema di numeri in hindi, pare). Sapendo il numero del proprio treno, Lo scopre che partira' dal binario 6. Si avvia deciso, ma il treno non arriva. Nonostante l'ora la stazione e' affollatissima. Moltissimi viaggiatori, ma ancora piu' gli abitanti. Una schiera infinita di persone che dorme tranquillamente ovunque su panni e su pezzi di cartone. Una vecchietta chiede l'elemosina sulle scale vicino a una cacca (umana?), i ratti si cibano con gusto di altre cacche tra i binari, una donna con uno sgargiante saree giallo e arancione dorme seduta su una coperta per terra al lato delle scale, mentre un'altra persona al suo fianco si e' completamente avvolta in un sacco di iuta. Viaggiatori distinti si mescolano ai pezzenti, e ragazzini in divisa scolastica sono seguita da massicci portatori che portano in testa di tutto. Una comitiva ha delle scatole di metallo al posto delle valigie e i portatori non fanno una piega: non solo se le caricano in testa senza esitazione, ma riescono anche ad appoggiarci sopra dei materassi arrotolati. Lo pensa alla cervicale di Lu. Dopo circa mezz'ora di attesa il cartello sul binario cambia e indica un treno con un numero diverso e una destinazione misteriosa. Lo e' confuso e torna nell'atrio principale dove, facendo attenzione a non calpestare quelli che ancora dormono, spia quel poco che riesce a capire del cartellone. Il suo treno e' ancora indicato con l'orario originale ed ancora il binario 6. Boh? Magari e' gia' partito? Lo sta gia' per decidere di prendere un altro treno (nonostante Alok gli abbia assicurato che quello che aveva comprato Arun era l'unico treno "adatto agli occidentali" in tutta la giornata). Per fortuna viene salvato da Armita e un suo amico, due studenti che anche loro passano da una conferenza all'altra. Spiegano a Lo che il treno e' in ritardo e che conviene che aspettino sul soprapassaggio. La scusa ufficiale e' che questo e' il modo per essere pronti a cambiare binario, ma forse e' il modo per stare un po' piu' tranquilli e lontani dal caos delle piattaforme. Aspetteremo quasi due ore in cui Lo vede passare migliaia di persone e (a parte una improbabile coppia di giovani studenti cinesi) e' l'unica persona non indiana di tutta la stazione. Chiaramente prendere un treno nell'India profonda non e' un'esperienza semplice per i non iniziati, come verra' confermato da un conferenziere indiano che abita in Canada da dieci anni e che confessa a Lo che non si era piu' fidato a farlo per mancanza di allenamento, ma aveva preferito prendere un aereo. Finalmente il treno arriva. Lo e' in prima classe extralusso (biglietto da 970 rupie, quasi 20 euro). La terza classe sembra non abbia neanche i finestrini, solo delle sbarre di ferro saldate alle finestre, ma sembra che i sedili ci siano. La seconda classe ha dei letti a castello fittissimi con gente accatastata. Purtroppo gli studenti sono su un'altro vagone e Lo e' nuovamente perso, ma un indiano gentilissimo che parla inglese aiuta Lo a decifrare il suo biglietto. Ha il posto 17 (che pero' e' occupato da una passiva grassa signora distesa su un lenzuolo che non parla una parola di inglese). L'indiano gentile scopre il mistero: sulla carrozza esistono due posti 17 in due classi diverse! Finalmente Lo trova il suo posto. E' anche questo una cuccetta, coperta da lenzuola sgualcite e una coperta pulciosissima. Dei luridi pesanti tendaggi rossi (almeno, in origine) dividono le varie cuccette. Lo e' un po' in imbarazzo e non sa cosa fare, ma fortunatamente arriva un ometto che si porta via il malloppo, scoprendo una enorme vistosa macchia di bagnato (o di unto?) sul sedile e torna orgoglioso con delle lenzuola "pulite" (a dire il vero sembra che ci abbia fatto sopra manovra un 747, viste le strisce nere) avvolte in un pezzo di cartone che vanta il fatto che le lenzuola sono state lavate in una lavanderia "moderna" e in cui si invita a mandare eventuali reclami ad un certo indirizzo. Lo cerca di spiegare che non vuole dormire, ma l'omino pensa che voglia ulteriori coperte e gliene porta un altro paio. Lo cerca di chiudere la cuccetta e l'omino finalmente capisce, ma fa vedere a Lo che non si puo': e' rotto il meccanismo. Deve per forza tenersela cosi'. Lo si appollaia nell'angolo opposto alla macchia, usando lo zaino di Lu come schienale. A proposito di Lu, quando viaggia in treno, arriva a casa che si vorrebbe dare fuoco per sterilizzarsi, probabilmente morirebbe di setticemia solo a guardare un treno del genere oppure dovrebbe sterilizzarsi con un gamma ray burst. In realta', una volta sistematosi, il viaggio (lunghissimo) risulta sorprendentemente confortevole. C'e' perfino una spina per il computer e Lo si mette a lavorare alacremente al suo progetto sotto lo sguardo stupito degli altri viaggiatori. Purtroppo la nebbia e l'opacita' del finestrino impediscono di vedere molto del panorama. Ad ogni stazione il treno si ferma per periodi infiniti e il treno viene assaltato da venditori di cibo, te', giornali, mendicanti, etc. Lo viene interrotto continuamente da gente che gli mette sotto il naso incomprensibili quotidiani in hindi. Assiste alla scena del venditore di te': nella cuccetta di fronte a Lo c'e' un elegante soldato giovane nascosto dietro al tendaggio "rosso". Quando passa il venditore di te' con la sua elegante teiera d'argento, il soldato emerge. Il venditore e' evidentemente preso in contropiede e fa per andarsene imbarazzato. Forse il soldato gli sta chiedendo l'autorizzazione o gli sta dicendo che e' vietato vendere cose sul treno? Il soldato lo ferma imperioso e inizia a interrogarlo. Lo scambio dura un po' con il venditore sempre piu' imbarazzato e il soldato sempre piu' severo, ma il tutto sembra risolversi quando il venditore gli da' una tazza di te', apparentemente senza essere pagato. Il soldato scompare di nuovo dietro la sua tenda, ignorando tutti i 10 alla 20 successivi venditori: magari aveva solo voglia di te'? Finalmente (dopo quasi 9 ore di viaggio per 330 km) arriviamo alla stazione di Allahabad. Il viaggio e' andato via molto liscio, grazie alla spina elettrica! E pensare che ben pochi treni in Italia hanno un tale accessorio. Lo e' quasi deluso di non aver provato il cesso, ma probabilmente Lu l'avrebbe disconosciuto se lui confessasse di essere entrato in un cesso di un tale treno. Allahabad e' anche una citta' molto caotica, ma chiaramente e' messa molto meglio di Patna. Anche le mandrie di bufali che pascolano lungo le strade sembrano piu' pasciuti qui. L'albergo e', invece, molto peggiore. Lo scopre sorpreso che quasi tutti i conferenzieri staranno nel campus (molto bello) e solo pochi in albergo. Inoltre, lui dovra' dividere la stanza con Gerardo. Come se fosse una gran concessione, l'omino della reception dice a Lo di avere fatto mettere due letti separati nella stanza. Vabbe' che Gerardo gli sta molto simpatico, ma dividere lo stesso letto, forse e' un po' troppo... La seconda conferenza e' molto piu' densa e c'e' meno tempo e occasioni di andarsene in giro, ma sicuramente e' piu' produttiva. Lo finisce anche sul giornale locale. Il campus HRI e' completamente isolato dal resto della citta', con doppio cancello e guardie armate da enormi antichissimi fucili che sembrano piu' adatti ad abbattere una tigre o un cacciabombardiere che a fermare un malintenzionato. Sembrano quasi armi ad avancarica. Il campus e' in una zona periferica e ogni mattina un taxi ci fa attraversare tutta la citta'. Il quartiere del campus e' molto povero e le strade non sono neanche asfaltate. Minuscoli negozietti (alcuni sono solo delle scatole su un trespolo) vendono le loro mercanzie al lato della strada e i bufali pascolano beatamente tra la spazzatura, mangiando anche le foglie dei cespugli. Un giorno Lo e Rafal si avventurano lungo il fiume (proprio qui c'e' la confluenza tra il Gange e un altro fiume importante), nonostante gli organizzatori invitino alla cautela. Ci saranno trecento persone lungo il fiume, cosa mai potra' accadere? Forse e' pericoloso di notte? Anche qui vediamo dei grossi falo', e scopriremo che e' un'altra zona di funerali. Durante la conferenza, viene anche improvvisata una sessione sulle donne nella scienza, sotto l'egida della brava organizzatrice Additi. Una ragazza indiana che lavora in Canada fa vedere delle interessanti statistiche che dimostrano come, fino all'eta' in cui entrano in gioco i pregiudizi culturali, la comprensione della matematica dei bimbi e delle bimbe e' assolutamente equivalente. Che i pregiudizi, inconsci ci siano, e' mostrato da uno studio fatto con telecamere nascoste in un museo della scienza, dove si vede che i genitori spendono molto piu' tempo a spiegare le cose ai loro figli maschi che alle figlie femmine. La ragazza produce vari consigli per incoraggiare le ragazze alle materie scientifiche. Durante un coffee break della conferenza, mentre ammiriamo il tramonto sulle rive del Gange, Lo chiede a Priya il significato del pallino/striscia rossa che spesso e' segnata sulla fronte delle persone. Lei e' una ragazza molto in gamba, con cui Lo il giorno prima aveva avuto una lunga, tecnicissima e interessante discussione sulla quantum error correction nelle random access memories quantistiche. Oggi pero' si lancia in una elaboratissima discussione a meta' tra il mistico e il metafisico. Innanzi tutto bisogna distinguere tra il pallino che spesso c'e' tra gli occhi (che e' solo per bellezza) e la striscia colorata (di solito rossa) che e' sulla fronte o appena sotto ai capelli. Quest'ultima ha uno scopo complicatissimo. Lo non riesce a seguirla molto: dice (mi pare) che innanzitutto e' quasi sempre portato dalle donne, perche' sono spiritualmente piu' importanti nella societa' indiana (direi in tutte le societa', vista la notoria poverta' di spirito di noialtri uomini). E' una specie di "antenna" che serve a bloccare i pensieri negativi che la gente ha e, forse, a convogliare i pensieri positivi? Lei si lancia convintissima in una elaboratissima spiegazione sulla propagazione di una qualche energia mistica e Lo viene clamorosamente lasciato nella polvere, chiedendosi se sta veramente ascoltando la stessa scienziata con cui aveva discusso a lungo la sera prima. Annuisce con aria ebete, arrancandole dietro, ma purtroppo perde gran parte della elaboratissima spiegazione di Priya. E' interessante che molti studenti indiani seguono con estrema attenzione, annuendo vistosamente. Piu' tardi Lo sente che commentano fra di loro su quanto sia stata brava Pryia nella sua spiegazione di questo aspetto della loro cultura. Sara', Lo non ci ha capito un acca tagliato: come e' vero che la cultura scientifica e' universale, ma per il resto... Il tramonto prosegue mentre i conferenzieri sorseggiano te' dalla collinetta che affaccia sul Gange, sulle cui sponde vediamo dei teli arancioni, che (pare) siano dei tumuli dove la gente morta viene messa prima (o dopo?) essere bruciata. Alla fine della conferenza Lo deve passare una notte a Delhi, perche' la pulciosissima Air India ha deciso di spostare l'orario del volo da Allahabad e Lo perde la coincidenza per Malpensa. L'aereoporto di Allahabad e' un aereoporto militare e c'e' un microscopico terminal con delle buffissime misure di sicurezza. Non c'e' posto per la macchina a raggi x al gate, quindi la gente deve portare le valigie in un posto, dove vengono scannerizzate, viene messo una specie di sigillo e poi portate al gate. In un angolo occhieggia un cartello che indica l'elenco delle persone che sono esentate dai controlli di sicurezza, una specie di classifica delle persone piu' importanti dell'India. Il primo e' il presidente, poi il vicepresidente, poi i presidenti degli stati, etc. Il Dalai Lama appare al posto 28 seguito da altri funzionari dai nomi altisonanti. Non sembrano esserci altre figure religiose. Il volo fino a Delhi va via liscio e qui Lo per risparmiare i suoi (ormai esauriti) fondi di ricerca, decide di cancellare la prenotazione che aveva fatto del suo albergo a Delhi e di accettare quello fornito da Air India, errore fatale: nonostante da fuori sembri un posto molto rispettabile, anche elegante, si rivelera' una topaia indegna dove neanche funziona la doccia ne' l'acqua calda, per fortuna il letto sembra ragionevolmente pulito, speriamo bene. Il giorno dopo cerca di dormire il piu' possibile per non soffrire il fuso e si dirige verso Jamar Mantar, che aveva visitato con Marco qualche anno prima. E' un antico osservatorio indiano con delle strutture arancioni incredibili che sembrano uscite da un quadro di de Chirico. C'e' una fitta nebbia e Lo spera di riuscire a fare delle belle foto, ma quando finalmente riesce a raggiungere il posto, la nebbia si e' diratata e c'e' il solito cielo bianco-padania, peccato. Comunque il posto e' notevole e non c'e' tempo di visitare altro oggi. Via di corsa all'aereoporto, solo per scoprire che il volo per Malpensa oggi e' stato ritardato di 3 ore, air India si conferma al fondo della classifica. Almeno l'aereo e' un modernissimo 787 e Lo guarda stupito le tanto decantate ali di materiale composito: quando prende il volo, si flettono di parecchi metri. Invece della solita tendina di plastica per oscurare i finestrini, c'e' un sistama polarizzante governato da un tasto. Ciao India, posto dai mille contrasti e mille volti!