Lo in india

           22-27 Marzo 2011



Foto

Indietro

Nonostante la mancanza di fondi di ricerca, Lo manda un'application per il congresso ICQOQC in India, nella speranza che dei fondi arrivino in tempo. Non si deve preoccupare, l'ospitalita' indiana e' proverbiale e viene immediatamente invitato a spese del contribuente americano, grazie ad un finanziamento dell'Optical Society of America destinato al congresso indiano. Il motto degli indiani e' "l'ospite e' un dio", dove "un" sta ad indicare che l'ospite entra a fare parte della numerosissima schiera delle loro divinita' e viene riverito ed adorato come una di esse. Lo se ne rende subito conto! L'organizzazione del viaggio consiste solamente nel comperare il biglietto aereo e comunicare l'ora di arrivo, TUTTO il resto e' organizzato dall'efficientissimo Anirban e dalla sua schiera di volenterosissimi studenti. Il viaggio e' comodissimo, Emirates e' probabilmente la compagnia piu' lussuosa che Lo abbia mai usato, nonostante il prezzo stracciato. Si fa scalo a Dubai di notte e dal finestrino si vede svettare il grattacielo piu' alto del mondo, in una griglia di strade che sembra una rappresentazione alla matrix di Gibson. Arrivato a Delhi, Lo viene accolto da uno studente molto gentile che lo mette su un taxi (destinazione Noida) assieme ad un simpatico congressista indiano, Banerjee. Il traffico e' folle, e il tassista deve fare lo slalom tra biciclette-riscio', apecar-taxi, carri tirati dai buoi, biciclette, persone che camminano a piedi nell'autostrada, camion scassatissimi, mucche, asini, e detriti in mezzo alla strada. I semafori servono solo a dare dei suggerimenti, che vengono totalmente ignorati dalla maggior parte degli automobilisti, che si lanciano negli incroci (sotto gli occhi dell'indifferente polizia) premendo il clacson come se cio' potesse come d'incanto spazzare la strada da ogni pericolo. Non c'e' in circolazione una singola macchina che non sia bollata. Non sorprendentemente molti degli autisti sembrano religiosissimi e tapezzano i loro taxi con multicolorate icone dalle molte braccia. L'autista dell'autobus della conferenza durante le soste tirera' fuori il suo libro di preghiere e vi si applichera' con devozione. Probabilmente l'unico modo per affrontare il traffico di Delhi e' credere che dopo la propria (imminente) morte in un incidente ci si reincarnera' in una vita migliore. Lo pensava che l'infimo mondiale fosse il traffico di Napoli, dove le macchine escono dai tombini e i clacson sono direttamente collegati ai pedali dei freni, ma deve presto ricredersi. Qui il clacson e' legato a tutti e tre i pedali: si suona per frenare, per accelerare e anche per cambiare marcia! Sulle strade circola di tutto, veicoli da due a diciotto ruote, animali dai due ai quattro piedi. Lungo l'autostrada si vedono giocare delle scimmie, ma per Banerjee, questo e' normalissimo. Stupisce la quantita' di parchi e di verde pubblico (peraltro usato come pascoli da greggi di mucche, capre e perfino asini). Banerjee spiega a Lo che in India ci sono tra venti e trenta lingue diverse con alfabeti diversi. Per fortuna l'unica lingua (parlata e scritta) che e' abbastanza comune e' l'inglese. Infatti l'India e' tutto sommato una giovane nazione, nata sotto la dominazione coloniale inglese. Naturalmente le sue radici culturali sono antichissime e affondano nella preistoria: alcune forme dell'induismo sono state riscontrate in pitture rupestri. Il tassista ha una mela rossa di plastica incollata sul cruscotto con foglie che ondeggiano con un motorino ad energia solare. Banerjee ne e' invidiosissimo: in India c'e' certo il gusto per il barocco! Si fa quindi una deviazione e ci si ferma in corsia di sorpasso per acquistare una mela anche per lui da uno sporchissimo venditore ambulante, uno dei tanti che vendono ogni sorta di cose ai lati della strada. Banerjee, gentilissimo, ne vuole comperare una anche per Lo, ma per fortuna Lo riesce a farlo desistere, pericolo mela-barocca-in-plastica scampato! Ci fermiamo ad un albergo a lasciare Banerjee. (Gli ospiti stranieri sono invece ospitati nella bella guest-house del campus all'ultimo piano del palazzo dell'auditorio.) Sotto l'albergo, in una tenda improvvisata, degli ambulanti prendono delle canne e le premono con una specie di pressa industriale con una grossa ruota di metallo. Lo viene a scoprire che sono venditori di succo di canna da zucchero. Pare sia una eccellente bevanda, ma Lo (con il suo delicato stomaco da occidentale) non vuole morire per liquefazione nel gabinetto, e non puo' provarla. Arriviamo al Jaypee institute dove si terra' la conferenza. E' un istituto privato finanziato da una ditta che costruisce autostrade e dighe ed e' molto bello, con giardini curatissimi: un giardiniere indiano dipinge di arancione i vasi dei fiori, per renderli tutti uniformi! C'e' pure un tempio con una swastica dipinta sul tetto. Lo finalmente incontra l'ospitalissimo e simpatico Anirban, che subito ci invita a pranzo. Il campus e' strettamente vegetariano (anche se dopo una rivolta degli studenti, hanno addirittura deciso di concedere le uova) e quindi si mangiano delle ottime verdure indiane e ceci e lenticchie, spettacolo! Lo e un congressista francese ottengono da Anirban uno studente "volontario" che li accompagni in giro: fantastico! Ci dirigiamo verso un multicolorato apecar-taxi (qui si chiamano Ape', probabilmente perche' senza accento sarebbe letto all'inglese: ape=scimmione). Dopo che lo studente si produce in un'animata contrattazione sul prezzo della corsa (che diventera' una routine in questi casi), saliamo a bordo e si parte di gran carriera nonostante gli apecar siano tutti alimentati a gas metano per ridurre l'inquinamento. Ci aggrappiamo a tutto il possibile, mentre l'autista matto inizia lo slalom tra i numerosi variopinti frequentatori della strada. Costeggiamo uno slum, dove bancarelle di cibo e altro sono montate a fianco (o sopra?) cumuli di spazzatura maleodorante. In un immenso campo vagano dei grossissimi maiali. L'odore e' terrificante e presto scopriamo che stiamo costeggiando una enorme discarica dove volteggiano degli enormi uccelli (avvoltoi?) al posto dei gabbiani. Ad un certo punto cambiamo taxi inspiegabilmente, ma arriviamo a destinazione: "old fort", dove entriamo in una spianata circondata di mura (giustamente il prezzo del biglietto per gli stranieri e' 20 volte quello per gli indiani, il cui potere di acquisto e' quasi trascurabile). C'e' una bellissima moschea con degli spettacolari arabeschi formati da elaboratissime strutture geometriche. Il francese (esperto di teoria dei gruppi) si diverte a verificare le simmetrie e a chiedersi la ragione del fatto che i pinnacoli siano 24, proprio come il numero di dimensioni necessarie per la sua teoria! Passeggiamo gradevolmente nel giardino, pieno di piante stranissime. Un albero simile ad un gigantesco finocchio sembra stato trapiantato direttamente dal cenozoico superiore. Le palme hanno la parte superiore verde e liscia: pare siano palme da cocco. In mezzo alle rovine ci sono dei panni stesi. Pare che di solito i lavoratori edili dormano direttamente sul posto dove lavorano, e ne vediamo alcuni all'opera che riparano le mura muovendo tutto a mano con secchi, sacchi e pale, neanche una carriola! Nel bel parco ci sono un sacco di persone locali che si godono il pomeriggio. I bimbi scorrazzano, le donne sfoggiano i loro coloratissimi sari, e varie coppiette di uomini si tengono amorevolmente per mano, segno della proverbiale tolleranza indiana per qualunque forma di orientamento sessuale, espressione culturale, o religione. Saliamo ora su un altro apecar-taxi e ci dirigiamo all'indian gate, un enorme arco di trionfo su cui sono scritti i nomi di tutti i soldati morti per l'India, sotto cui arde la fiamma del milite ignoto. Una lunghissima strada monumentale collega l'arco all'immenso palazzo presidenziale. Un colpo d'occhio notevole che ricorda (piu' in grande) i boulevard parigini. L'aspetto piu' interessante e' costituito dalle frotte di persone che anche qui passeggiano per il parco. I nostri eroi sono subito individuati come turisti da spennare e vengono circondati da mendicanti e venditori ambulanti di ogni sorta di paccottiglia immaginabile. Uno apre una valigia e tira fuori un cobra, forse vuole suggerire che gli paghiamo l'onore di tenere in braccio il rettile? Meglio soprassedere! Il francese compra un gioco dove un oggetto viene lanciato con una catapulta e torna a terra ruoteando come le pale di un elicottero (o come i semi di acero). Naturalmente l'acquisto e' un errore clamoroso, e tutti i venditori di elicotterini del parco convergono cercando di venderci ulteriori elicotterini: uno, ormai disperato, ci propone di acquistarne 10 per 100 rupie, un prezzo veramente vantaggioso, ma non si rende conto che forse non ne abbiamo un grande uso! La folla e' veramente variegata e variopinta, compreso un corpulento signore con un cappello fucsia. Un paio di persone sono completamente vestite di arancione e sono dei "santi" secondo il nostro accompagnatore, il quale pero' dice che qui sono santi "fasulli" che piu' che altro si approfittano della gonzaggine della gente. Ci suggerisce un monastero dove si possono trovare i santi genuini, se mai avessimo bisogno di uno... Chissa', Lo si puo' per ora accontentare di quella santa di Lu. In un laghetto vicino si possono affittare delle barchette che fanno da auto-scontro. Si e' fatto tardi e decidiamo di rientrare con la metropolitana. Prendiamo un apecar-taxi fino alla fermata, ma rimaniamo bloccati perche' dovremmo attraversare una strada a 4 corsie ed e' l'ora di punta: un flusso ininiterrotto di veicoli ci sbarra la strada. L'autista aspetta un paio di millisecondi e poi decide che ne ha avuto abbastanza: apre il gas a manetta e si butta a kamikaze con il clacson spianato. Lo e' sicuro di morire, ma il traffico inizia a fluirci attorno innocuamente in una cacofonia di trombe e clacson di ogni tipo. Sono le trombe del giudizio universale? No, siamo salvi! La metropolitana e' nuovissima ed efficientissima, ma anche affollatissima. Durante le soste la gente deve farsi largo a violenti spintoni se vuole salire o scendere! Rientrati all'istituto Lo scopre che dividera' la stanza con un congressista dalla Malesia, che orgogliosamente mostra una barbetta caprigna e i peli del naso che gli si mescolano ai baffi. E' uno scienziato molto in gamba a giudicare dal complicatissimo seminario che terra' il giorno successivo e dalle acute osservazioni che fa ai congressistidi quando in quando. Purtroppo e' quasi impossibile comunicare, perche' non capisce molto di quello che gli si dice, anche se il suo inglese e' abbastanza comprensibile. La stanza e' molto grande e abbastanza dignitosa, purtroppo le zanzare spolperanno Lo con gusto per tutta la sua permanenza, anche grazie al malesiano che tiene alternativamente aperta la porta o la finestra (che sfoggia una inutile zanzariera sgangherata). Lui deve essere immune e non c'e' verso di fargli capire il problema. Il giorno dopo inizia il congresso con un'introduzione molto formale alla fine della quale ognuno degli organizzatori e membri del comitato scientifico accendono una candela davanti a una barocchissima statua argentata di una dea seduta su un pavone. E' la dea della conoscenza, ed e' buon auspicio iniziare ogni attivita' accademica accendendole un lumino. Iniziano i talks e si capisce subito che il concetto di tempo in India e' molto diverso dal nostro. I tempi per qualunque cosa si dilatano a dismisura. Ben presto i congressisti coniano l'espressione "indian time" per chiudere il gap culturale: se la sessione inizia alle 9 indian time, vuole dire che non iniziera' prima delle 9:15 o 9:30. In altri congressi gli organizzatori solitamente si stressano a morte se qualche congressista si dilunga troppo, qui nessuno pensa di stressarsi per una ragione cosi' banale, nonostante i ritmi serratissimi del congresso: vorra' dire che si finira' piu' tardi, che problema c'e'? Giusto! I talks sono interessanti, ed e' chiaro che la qualita' scientifica e' mediamente alta. Il pranzo e' servito nella mensa per gli studenti, dove il cibo indiano e' costituito da spettacolari verdure condite con ogni sorta di spezie, riso, e pane indiano. In ossequio ai congressisti internazionali, c'e' anche una fila etichettata "continental food" dove occhieggiano dei poco invitanti hamburger (vegetariani?) e spinaci cotti con il mais. Molto meglio la cucina indiana! Per fortuna l'acqua e' servita in speciali bicchieri di plastica con un sigillo sopra: possiamo bere tranquilli senza temere liquefazioni intestinali! Alla sera c'e' la cena sociale. Tutti i congressisti si impilano allegramente su due scassatissimi autobus e andiamo in centro. Lungo la strada vediamo un sacco di gente che abita in sporchissime tende o ripari di fortuna montati sul marciapiede. E' quasi surreale l'interessante discussione tra Lo e Barry Sanders sulla quantum metrology in codesto ambiente. Arriviamo in un edificio dove c'e' un gradevolissimo giardino "delle rose" (anche se non c'e' l'ombra di una rosa). Ci aspetta un meraviglioso buffet. In un angolo un cuoco dall'alto cappello cucina il famoso pane indiano. Ha un enorme orcio con dentro un fuoco. Fa delle pallette di pasta di pane e le spalma sulle pareti dell'orcio con un panno. Dopo un po' le stacca e ce le serve ancora calde: buonissime. Qui c'e' anche la carne perche' non siamo nel campus, ma le verdure sono sicuramente la cosa piu' buona. Fa un certo effetto mangiare tutto questo ottimo cibo, mentre magari appena fuori dal muro c'e' gente che sta facendo la fame. Ci si rende ben presto conto che l'India e' formata da varie "nazioni" che convivono nello stesso luogo ma che hanno interazioni minime. Cosi' come noi non ci curiamo dei fringuelli o dei piccioni che vivono nella nostra citta', cosi' pare che in India ogni strato sociale conviva pacificamente nello stesso luogo senza quasi interagire. Come fa notare Marco Genovese, al contrario di tutto il resto del mondo dove le favelas e gli slum sono sempre ben separati dalle zone piu' ricche, qui non c'e' alcuna separazione e le baraccopoli sono attaccate ai condomini e agli uffici, separate solo da alti cancelli con impressionanti matasse di filo spinato. Chissa', forse questa pacifica convivenza e' regolata dal sistema millenario delle caste e indica che, nonostante le migliori intenzioni, questo sistema non potra' mai essere eliminato di colpo senza ridurre l'intera nazione al caos piu' totale. La societa' sembra infatti retta sulla sua identita' culturale e tradizione religiosa. Non si puo' certo fare affidamento sulla societa' laica, visto che e' chiaro (se non altro dalla interpretazione libertina del codice della strada che viene bellamente violato sotto gli occhi dei poliziotti) che le leggi vengono piegate a piacimento. Il giorno dopo scorre tranquillo, e Lo si avventura fino al centro commerciale a cercare il vestito che Lu con tatto ha sottilmente fatto capire a Lo che gradirebbe (cioe' gliel'ha ordinato esplicitamente e perentoriamente con tanto di modello e colore). Sicuramente Lo sbagliera' l'acquisto, ma almeno ci si impegnera'! Anche se il centro commerciale e' di fronte al Jaypee, bisogna fare un lungo giro, passando accanto alle bancarelle di cibo allestite sotto improvvisate tende con velleitari cartelli che promettono "fast food" in svolazzanti scritte. Sfere di indefiniti vegetali sottolio o sottaceto occhieggiano da grossi barattoli. C'e' anche un pastore che dorme mentre le mucche pascolano e c'e' l'officina di un gommista. Questa consiste in un traballante banchetto di mezzo metro su cui sono ordinatamente disposti tutti i suoi attrezzi, in una tanica mezza piena d'acqua (per trovare il buco) e in una pompa per completare la riparazione. Nella corsia spartitraffico, all'ombra di bassi alberelli, c'e' il negozio del sarto, che consiste di una macchina da cucire a pedali che egli fa andare laboriosamente mentre sistema dei pantaloni. Il centro commerciale e' uno shopping mall identico a quelli che si vedono in tutto il mondo, eccetto per la security che controlla i bagagli all'ingresso come in un aereoporto. Un cartello ordina: ci si riserva il diritto di ammissione (probabilmente un modo gentile di dire "ci arroghiamo il diritto di buttare fuori gli straccioni"). Il mall contiene negozi che vendono merce internazionale con nomi familiari, ecco la globalizzazione. Per fortuna i negozi di vestiti si dividono in quelli che vendono fogge occidentali e quelli che vendono vestiti indiani. Lo vede subito un bel negozio locale (non globalizzato) che vende i vestiti come li voleva Lu. In tutto il mall c'e' un unico vestito arancione e nessuno blu notte (che erano i colori ordinati): evviva! non c'e' scelta possibile, non ci si puo' sbagliare di troppo! Rientrando all'istituto Lo prova ad entrare in uno shopping mall meno occidentalizzato dove cerca anche una sciarpa blu notte per Lu (cercando di ridurre gli inevitabili errori), ma le sciarpe si vendono solo se compri anche tutto l'elaboratissimo e costosissimo sari: non e' possibile acquistare solo la sciarpa, e tale bizzarra richiesta sembra divertire sinceramente il negoziante! Alla sera c'e' il programma culturale offerto dagli studenti "volontari" (ci si chiede quanto siano veramente volontari, ma forse lo sono davvero). Entriamo nell'immenso auditorium del campus e siamo accolti da delle studentesse che danzano danze tipiche in maniera molto graziosa. Poi e' la volta di uno studente che canta canzoni indiane, accompagnato da due musicisti. Ci chiede di chiudere gli occhi mentre lui canta e poi ci chiede che sensazioni abbiamo provato. Da bravo scienziato, sta sperimentando se e' in grado di trasmetterci le sue emozioni attraverso il canto. Purtroppo i congressisti sono tutti imbarazzatissimi e nessuno risponde al suo appello. Lo (che ha visualizzato un torrente alpino) per fortuna tace, perche' in realta' lo studente ci spiega che ha cantato la vita di un villaggio indiano, probabilmente quanto di piu' lontano ci sia dal pacifico scorrere di un torrente! Del resto si sa che la sensibilita' di Lo e' pari a quella di una carcassa di tapiro, e non stupisce che il povero studente non sia riuscito a fare breccia nel suo animo gretto. Dopo e' la volta di Anandita. Questa ragazza merita una menzione speciale. I giorni precedenti si prendeva cura dei congressisti assieme agli altri studenti di Anirban, quel giorno stesso aveva avuto la sua dissertazione di dottorato, ora stava ballando per noi (in modo molto aggraziato, avvolta da un bel vestito azzurro) e il giorno dopo avrebbe presentato la sua ricerca in un seminario al congresso: una performance veramente eccezionale. Chiude lo spettacolo una ragazza che canta una canzone molto complessa, accompagnandosi con uno stranissimo strumento a meta' tra clavicembalo e fisarmonica. Un altro studente suona dei tamburi simili a bonghi. Sia la musica che i canti indiani sono molto caratteristici, ma (come per il caso della musica tipica cinese e giapponese) non sembrano colpire la nostra sensibilita' piu' di tanto. Questo non e' certo dovuto all'imperizia degli studenti, che, a giudicare dai commenti dei congressisti indiani (e rispettive consorti), sono stati bravissimi. Probabilmente, al contrario della scienza, l'arte non e' proprio universale: ha bisogno della preliminare costruzione di una appropriata sensibilita', e solo dopo la si puo' apprezzare. O forse cio' e' solo dovuto alla suddetta sensibilita' tapiresca di Lo? Dopo lo spettacolo si va a cena ad un circolo ufficiali poco distante (spazialmente, ma non temporalmente, grazie al solito traffico impazzito dentro cui si avanza adiabaticamente a suon di clacson). Anche se pare che la specialita' qui sia il pesce, la verdura e' talmente buona che Lo ne mangia a crepapanza, snobbando il tanto decantato pesce. Il giorno dopo il congresso si chiude con il talk di Lo, che cerca di fare un discorsetto conclusivo per ringraziare della incredibile ospitalita' ed efficienza nell'organizzazione del congresso, ma si impappina clamorosamente. Ciononostante gli organizzatori sembrano apprezzare. Tutti gli invited speaker vengono omaggiati di un piatto con indicato il nome del congresso e del congressista: una specie di trofeo a imperitura memoria! Il congresso si chiude, ma gli speaker sono invitati ad una escursione finale: si inizia con la visita la tomba di Umayun, un enorme mausoleo, che e' in realta' uno splendido palazzo da mille-e-una-notte pieno di bellissimi giardini circondati da imponenti mura. Anche qui abbondano le figure geometriche elaboratissime compresa una stranissima emicupola con un tiling fatto di stelle ed esagoni che elegantemente si deforma seguendo la curva geometria della cupola. In un angolo del parco c'e' anche il palazzo del barbiere. Lo pensa che il re abbia regalato un palazzo al suo barbiere (come l'igienista dentale di Berlusconi, omaggiata di un pregevole assessorato alla regione e di chissa' cos'altro), ma (secondo Marco) si tratta invece di un personaggio dal dubbio gusto che custodiva una preziosissima reliquia di Maometto: un pelo della sua barba. E' ora in restauro grazie ad una banda di indiani molto rilassati tra cui anche un ragazzino che avra' forse 15 anni. In un angolo del cortile c'e' anche un pavone che terrorizzato svolazza fino in cima ad un muro: quindi i pavoni sanno volare! Segue la visita al famoso minareto Qutub, una struttura impressionante di grossi mattoni rossi elegantemente intarsiati con versi del corano. Arriviamo all'imbrunire e ci godiamo il bellissimo tramonto in questo suggestivo parco. Era un'enorme moschea, per erigere la quale (secondo il vanto del costruttore) erano stati distrutti una dozzina di templi indu'. Infatti, le colonne di cio' che rimane della moschea non hanno niente di islamico e sono chiaramente indu' anche se tutte le (numerose) figure che naturalmente le costellavano, sono state rozzamente tolte (a volte scalpellando via solo la faccia, e lasciando il resto). In mezzo ad un cortile campeggia un manufatto particolarissimo. Una enorme colonna di ferro che, ci spiega uno studente, e' piena (non cava) e risale almeno a 1600 anni fa o forse di piu'! Un vero prodigio di tecnologia: non e' affatto facile ottenere un cosi' grosso blocco massiccio del prezioso metallo. Senza contare che e' sopravvissuto alle intemperie per tutti questi secoli senza ossidarsi! I moderni metallurgi ne stanno ancora studiando la lega con interesse (pagina di Wikipedia). La leggenda vuole che chi riesce a cingere la colonna con le braccia volgendole le spalle e' destinato a comandare. In effetti la base della colonna e' tutta lucida per i velleitari comandanti, ma ora e' vietato avvicinarsi. L'indomani (domenica) Lo si aggrega volentieri a Marco Genovese, che e' un turista professionista: ha organizzato un perfetto giro per la citta' e si e' accuratamente studiato la guida. Anirban, sempre gentilissimo, ci scrive dettagliatissime istruzioni su come concatenare in maniera piu' efficiente tutte le cose che vogliamo vedere e quali mezzi pubblici prendere. Iniziamo dal Red Fort, che e' un forte militare che contiene uno splendido palazzo dove abitava il re. All'ingresso del forte ci sono dei negozietti e scegliamo il meno turistico per comperare il cristallo per Andrea. Marco vede delle belle collane e ne compra una per la moglie e due collanine per le figlie. Una delle collane di lapislazzuli e' molto bella e Lo la acquista per moster. Speriamo che vengano dall'Afghanistan e non dal Cile, altrimenti sarebbe ben ironico! La collana viene corredata di un sacchettino rosso che e' quasi piu' bello della collana. Proseguiamo la visita del palazzo passando sotto un elegante portale dal quale l'orchestra annunciava l'arrivo e la partenza degli ospiti di riguardo che li' potevano parcheggiare il loro elefante. Il porticato dove il re dava udienza e' ornato di eleganti mattonelle italiane. Il padiglione dell' "aria condizionata" conteneva in realta' una serie di belle fontane che rinfrescavano l'aria. Piu' in la' c'e' una fontana talmente grande da avere una casa in mezzo: il re ci andava in barca! Un cartello spiega senza apparente ironia che le decisioni di "business" erano prese nel salone dei bagni del re. Anche questo parco e' pieno di gente, qualche turista occidentale e orientale, ma soprattutto turisti indiani. C'e' anche una vecchietta con i lobi delle orecchie stirati fino ad arrivare alle spalle, proprio come le statue di alcune divinita' che vedremo nel museo. Purtroppo gli invasori inglesi hanno scempiato l'elegante giardino costruendo dei palazzi per far risiedere la guarnigione e un orribile serbatoio dell'acqua. All'uscita notiamo una serie di mattonelle con varie divinita', tra cui anche Gesu' Cristo accompagnato da Shiva, Buddha e Padre Pio: altro segno di tolleranza e integrazione: le altre religioni possono benissimo convivere con l'induismo! In mezzo a tanti dei, c'e' sempre spazio per uno in piu'. C'e' una teoria secondo cui i popoli monoteisti sono assai piu' bellicosi, e forse la storia lo conferma (con la notevole eccezione dei Romani). Usciti dal forte, ci dirigiamo verso la moschea che si vede poco distante. Attraversiamo un mercatino dove vediamo le mercanzie piu' improbabili. Deve essere il settore di ferramenta e un annoiato venditore vende motori elettrici da un metro cubo l'uno, in mezzo ai quali pascolano tranquillamente un paio di capre. La noia del venditore probabilmente riflette il fatto che il ritmo degli affari per la vendita di tali improbabili oggetti e' meno che frenetico. Chissa' se fa anche pacchi dono su richiesta? Piu' avanti bancarelle un po' piu' convenzionali vendono cacciaviti, punte di trapano e motori elettrici di dimensioni ragionevoli. In un angolo, una fontana con pompa a mano viene manovrata da ragazzini che vi si lavano i piedi allegramente. Venditori di cibo mostrano minuscole bancarelle coloratissime e ordinatissime: due file di rossi pomodori separano i semi gialli chiari al centro da quelli scuri ai lati. Un paio di strani venditori il cui campionario completo sembra consistere di un'unica bilancia digitale a testa, ma probabilmente vendono informazione: il tuo peso o il peso di qualunque oggetto tu metta sulla loro bilancia. Lungo il muro della moschea stazionano varie persone che probabilmente vivono li'. Uno versa orgogliosamente acqua ad un bimbo da una peculiare borraccia: la pelle di una capra riempita d'acqua. I piedi, legati fra loro, sono un comodo manico, e il collo decapitato permette all'acqua di defluire copiosa. Nuovamente, un occidentale che bevesse una sola goccia d'acqua da tale creativa borraccia guadagnerebbe immediatamente una dissenteria terminale fulminea. Entriamo nella moschea, ma iniziano a gridarci dietro in arabo o in uno dei vari linguaggi a caso. Pensiamo che sia perche' bisogna togliersi le scarpe e Lo lestamente se le sfila provocando una moria di mosche e uno svenimento in massa delle numerose persone presenti. Non e' questione di scarpe, ci spiega finalmente un guardiano anglofono, abbiamo sbagliato ingresso. Questo e' destinato ai mussulmani. Scopriremo piu' tardi che oggi e' in visita un famoso imam della Mecca, e quindi solo i mussulmani sono ammessi. Gli altri devono entrare dal gate 3, che e' sul fianco. Mentre ci dirigiamo verso il gate, un riscio' investe di striscio Lo, che evidentemente (al contrario degli autoctoni) non ha l'istinto automatico di saltare via. Per fortuna niente di grave e il pilota mormora delle scuse e si allontana pedalando nella canicola mentre Lo prosegue zoppicante e maledicente. Al gate 3 Lo assiste ad una doppia fregatura: gli propinano un biglietto (200 rupie) che evidentemente e' stato raccolto da terra, invece che strappato dal blocchetto (cosi' il bigliettaio si incamera i soldi). Inoltre, all'uscita, un barbuto mussulmano pretende di essere pagato per avere "custodito" le scarpe di Lo, il quale si rifiuta categoricamente: e' chiaro che tutti abbandonano li' le scarpe e che non c'e' nessun servizio di custodia! Tra il rifiuto di ingresso nella moschea e il raggiro doppio, i mussulmani di Delhi ci fanno proprio una pessima figura! Possiamo entrare solo sulla bastionata della moschea, ma ne vale la pena lo stesso: si puo' salire parecchio in alto e il panorama e' molto bello. Da un lato c'e' il Red Fort dietro al mercato, dall'altro la citta' e in mezzo c'e' la spianata della moschea. Un inserviente dotato di un lunghissimo palo cerca di rimuovere un paio di aquiloni colorati che sono rimasti impigliati nella emicupola dell'ingresso! La spianata della moschea e' tapezzata di colorati tappeti da preghiera dove domina il rosso acceso. In mezzo alla spianata una elegante fontana sfoggia un baldacchino che ombreggia i mussulmani accaldati. Ci dirigiamo ora verso un ristorante che ci ha consigliato Anirban, e li' troviamo proprio lui con degli altri congressisti che sta portando in giro, facendo loro da guida turistica. Veramente super-ospitale! La temperatura esterna supera abbondantemente i 30 gradi e Lo e' ormai alla stessa temperatura del plasma stellare: piuttosto che mangiare una sola molecola preferirebbe gli strappassero le unghie con le tenaglie. Quindi prende il piatto piu' leggero possibile, una mezza porzione di riso e verdure di cui riesce a mangiarne solo meta'! Marco, invece, ordina un super-piattazzo di montone e si delizia incurante del caldo. Anirban porta gli ospiti alla moschea e ci consiglia di usare un ape-taxi per la nostra prossima tappa. Noi capiamo invece che ci consigliava un riscio' e ne affittiamo uno. Il poveretto che pedala acconsente a portarci e ci intrattiene anche disquisendo su Sonia Gahndi, politica indiana nata in Italia. Pero' dopo un po' ci dice che il posto dove vogliamo andare e' troppo lontano e ci molla alla fermata della metropolitana poco distante. Peccato, Lo aveva quasi racimolato il sufficiente coraggio per chiedergli se poteva provare a pedalare lui (in questa zona il traffico e' quasi umano). Due fermate di metropolitana ci portano in quello che e' probabilmente la costruzione piu' strana mai visitata da Lo: si tratta di Jantar Mantar, un osservatorio astronomico costruito nel 1700. Costruzioni stranissime e multicolorate sembrano provenire da un quadro di De Chirico o da un libro di Petzi piuttosto che da un architetto indiano di 3 secoli fa. Servivano a traguardare le stelle e a fare misure astronomiche di alta precisione. Marco (che lavora in un istituto metrologico) e' al settimo cielo: ecco lo stato dell'arte della metrologia mondiale dell'epoca. Sicuramente niente di simile esiste nel mondo occidentale. Alcuni degli edifici qui sono unici anche per l'India. Sarebbe divertente cercare di capire come funzionano gli edifici, ma e' chiaramente ci sono molti gradi di liberta' e quindi e' decisamente molto complicato. Fa troppo caldo anche per leggere con attenzione i cartelli, che per la verita' non spiegano molto. Un edificio e' un cilindro scoperto, con al centro una colonna dalla quale partono 30 marciapiedi radiali sopraelevati con delle tacchette numerate. Chissa' cosa vi si misurava? Un altro edificio e' una altissima rampa di scale rossa che conduce ad una specie di barile bianco. Sembra un altissimo trampolino aperto sul nulla. Ora ci dirigiamo a piedi verso il museo nazionale, e assistiamo alla famigeratissima gang dei bimbi storpiati. Un bimbo in lacrime con una gamba sola ci si lancia contro saltellando sull'altra gamba gridando "no papa, no mama". Suscita una pena infinita, soprattutto per i suoi occhi azzurri profondissimi, ma chiaramente non bisogna dare niente per evitare di incentivare questo sfruttamento barbaro e crudelissimo. Infatti, che questo bimbo sia sfruttato e' chiaro perche' ce lo ritroviamo 10 minuti dopo, 2 chilometri piu' avanti. Considerato che ha una gamba sola e che noi andavamo di passo ben spedito, e' chiaro che e' stato portato in macchina o in bicicletta dai suoi sfruttatori facendo qualche strada secondaria. E' tristemente anche chiaro che e' stato scelto per via dei suoi occhi, e' ben difficile resistere al suo sguardo. Si spera che non siano stati i suoi sfruttatori a ridurlo cosi', ma la probabilita' che lo abbiano fatto e' purtroppo alta. La seconda volta e' accompagnato da un altro bimbo piccolissimo che cerca di vendere delle misere penne a sfera. Cosi' se il turista preso di mira e' refrattario al mendicante storpio, magari si fa convincere dall'altro ragazzino che sembra che si dia da fare attivamente per sbarcare il lunario. Che pena sfruttare dei bimbi cosi'. Di quanta cattiveria e' capace l'essere umano... Entriamo con il cuore pesante nel museo nazionale. Qui si segue un ordine cronologico nella disposizione della collezione, ma ci sono notevoli eccezioni e molte delle statue piu' belle sono disposte alla rinfusa nei corridoi. Una sala e' solo dedicata al Buddha, senza alcun criterio logico apparente per la disposizione degli artefatti che spaziano dall'epoca avanti cristo fino ad un enorme e pacchianissimo reliquiario d'oro contemporaneo. Lo e' ormai stremato e avanza trascinandosi sui gomiti, mentre il turista-professionista Marco continua imperterrito con il migliore aplomb di Phileas Fogg. Fa molta impressione la sala delle armi con strumenti di sbuzzamento piuttosto fantasiosi e con un elefante in cartapesta a dimensioni naturali che serve a mostrare il bardamento da guerra di tale animale (una specie di anticipazione di carro-armato). Sono bellissime anche varie statue di pietra nera levigatissima rappresentanti gli dei piu' strani circondati da fantasiosissimi mostri o animali inventati. Uno degli dei piu' popolari ha la testa da elefante ed e' il dio che facilita gli obiettivi e rimuove gli ostacoli. Uno immediatamente penserebbe che tale capacita' gli derivi puramente dalla possenza e dai muscoli, ma non e' cosi': e' il piu' intelligente tra gli dei e gli ostacoli sono superati soprattutto con l'astuzia: una bella metafora. Il suo veicolo e' il topo! Ogni dio ha un suo veicolo: dal sopracitato pavone alla tartaruga (si vede che questo dio non aveva fretta), al coccodrillo che trasporta la dea dell'amore: guai a farla arrabbiare, rischi che ti usi come benzina per il suo veicolo! Incontriamo nuovamente Anirban e anche alcuni degli studenti che erano venuti al congresso. Anirban e congressisti stanno rientrando e quindi Lo (che ha l'aereo fra poco) si aggrega a loro e abbandona l'imperterrito Marco che vuole ancora vedere l'old fort e altre dodici attrazioni turistiche: veramente infaticabile! L'ospitalita' indiana e' ancora una volta proverbiale e Lo puo' anche farsi una graditissima quanto necessaria doccia prima di prendere il taxi gentilmente offerto dal congresso fino all'aereoporto. Qui Lo si scontra con la becerissima burocrazia della peggior specie: e' impossibile cambiare piu' di 10000 rupie (cioe' circa 150 euro!) senza un foglio che attesti la provenienza del denaro (lui ne ha da cambiare quasi 30000, i soldi del biglietto aereo, rimborsato dal gentile Anirban). I commessi stessi suggeriscono di cambiarne 10000 per volta ai vari sportelli di cambio (tutti della stessa compagnia!) e quindi Lo perde quasi un'ora a compilare tre volte gli stessi innumerevoli insensati moduli e poi deve correre fino all'aereo entrando dallo sportello passaporti dei diplomatici perche' non c'e' piu' tempo di fare la fila! Che cosa insensata. Probabilmente la prima indicazione dello stato di salute di un paese e' la quantita' di burocrazia inutile a cui vi si e' sottoposti (come siamo messi in Italia?!?) Sull'aereo Emirates, per attirare gli investitori stranieri negli Emirati Arabi un depliant promette ricche infrastrutture, condizioni agevoli per gli investimenti, e POCA BUROCRAZIA! Il volo di rientro (dopo un lungo scalo a Dubai) passa sorprendentemente sopra l'Iraq e si vede Baghdad dal finestrino: sembra una normalissima citta' circondata da una normalissima campagna desertica. Le montagne al confine tra Iraq e Turchia sembrano l'ideale per farci un giro in bici, Lo sogna... chissa'. Ciao India: una nazione con una diversita' culturale e stratificazione sociale ancora piu' marcata che gli Stati Uniti!