Lo in Japan 2013

           OSAKA, 8-9 Agosto, HIROSHIMA 10-14 Agosto 2013
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Lo in Giappone ancora una volta! Stavolta direttamente da Benasque, o meglio, da Barcellona. Quando arriva sull'aereo e' talmente stanco che riesce a dormire quasi tutto il viaggio, fantastico! All'arrivo a Osaka, un brutto risveglio: tutte le carte di credito e i bancomat (italiani e americani) non funzionano! Dopo aver provato 43 bancomat che assicurano tutti di lavorare con Visa e Maestro, Lo si arrende... Per fortuna nel portafoglio ha ancora 20 euro avanzati da Barcellona, speriamo che bastino ad arrivare alla conferenza. Ecco il primo incontro con l'inflessibilita' giapponese. Per cambiare 20 euro bisogna dichiarare l'albergo dove uno risiede e Lo non ha nessuna voglia di tirare fuori il computer e cercare il nome dell'albergo. L'omino del cambio e' molto deferente con continui inchini, ma categorico: senza albergo niente cambio. Lo alla fine si inventa un nome e l'omino e' finalmente sollevato dal suo evidentissimo imbarazzo nel dover essere deferente e categorico al tempo stesso! Ora finalmente si puo' iniziare il complicatissimo viaggio per arrivare alla conferenza. Per fortuna le istruzioni sono dettagliatissime: treno, metropolitana, monorotaia, altra monorotaia e poi un chilometro a piedi con cartine via via piu' dettagliate. Lo e' esterrefatto: la citta' sembra non finire mai e quello che si aspettava fosse un piccolo trasferimento diventa un viaggio di quasi due ore durante cui attraversa da cima a fondo tutta l'enorme citta'. Scoprira' poi che Osaka e' la seconda citta' del Giappone dopo Tokyo. Il treno e' pieno di piccole iconcine buffe di bimbi che si schiacciano le manine perche' le hanno messe troppo vicine alle porte. Il gusto giapponese per i manga e' molto spiccato. Lo fa amicizia con un ragazzo inglese dello Yorkshire che e' in transito per la Nuova Zelanda e ha deciso di fare un salto in citta': e' completamente spaesato poverino e chiede informazioni a Lo, come se Lo potesse dire qualcosa di sensato, dopo un volo intercontinentale in una citta' in cui non ha messo mai piede e di cui non riesce neanche a interpretare l'alfabeto!!! Si arriva alla metropolitana e Lo riesce, con l'aiuto di un commesso gentile a decifrare l'astruso modo di acquistare biglietti. Incredibile come si riesca a comunicare nonostante la totale assenza di un linguaggio comune. Finalmente il capolinea della metro, si passa alla monorotaia. Si attraversa un enorme shopping center dove un signore batte su un tamburo, mentre una scimmietta vestita va a raccogliere i soldi dei passanti. La monorotaia da' un po' l'effetto di tecnologia retro-futuristica o antiquariato dal futuro: e' chiaro che e' stata costruita molto tempo fa e Lo si ricorda il suo abecedario delle elementari dove la monorotaia veniva presentata come il treno del futuro: magari si riferiva proprio alla monorotaia di Osaka! La monorotaia su cui corre il treno e' altissima sul piano stradale, proprio come le figure del suo libro. Ormai siamo alla periferia nord della citta' e lontano tra gli alberi si intravede una struttura incredibile, un'enorme stella bianca e azzurra. Sembra la testa di un robottone stile Mazinga Zeta che e' stato abbattuto ed e' crollato a terra. Piu' tardi Lo scoprira' che e' una struttura costruita per una fiera universale di molti anni fa. Finalmente si esce dalla monorotaia e Lo suppone che il viaggio (iniziato a Benasque 35 ore prima!) sia finito. Povero illuso: quell'unico chilometro a piedi e' la parte piu' dura di tutto e Lo suda circa 24 litri ad una temperatura di 36 gradi con l'80% di umidita', o giu' di li'. Arrivato alla conferenza deve fiondarsi in un bagno per cambiarsi praticamente tutto (vorrebbe cambiarsi pure le mutande)! Viene accolto dal gentilissimo Masazumi che gli ha organizzato il viaggio impeccabilmente. Entra nella sala conferenza accolto dall'indispensabile aria condizionata. Ecco Holger, il tedesco ormai trapiantato qui, che l'ha invitato in Giappone! Il pranzo e' servito in una sala riunioni molto elegante. Prima di entrare bisogna togliersi le scarpe e mettersi le ciabatte giapponesi. Lo, che ha tenuto gli scarponi per 40 ore di fila teme di ammazzare tutti gli esimi colleghi. Meno male che si era cambiato le scarpe (scarpe eleganti da conferenza in Giappone) e le calze nel bagno appena arrivato e i suoi piedi sono quasi accettabili. Carlota, una spagnola di Barcellona che lavora a Stoccolma, confusa dagli interruttori del bagno (con etichette solo in giapponese) fa partire un allarme. I Giapponesi assistono basiti: nessuno sa come spegnere l'allarme e ci sorbiremo tutto il pranzo con sottofondo di sirena (per fortuna nel corridoio) e luce lampeggiante rossa. Chissa' cosa dovrebbe succedere se ci fosse un'emergenza vera? Tutti i conferenzieri stranieri (Spagna, Italia, USA, Canada) sono molto confusi su come bisogna comportarsi. Chiaramente qui siamo proprio in un altra cultura, completamente aliena. Fortunatamente i giapponesi sono molto tolleranti degli infiniti errori di etichetta che sicuramente facciamo e continueremo a fare. E' incredibile come, nonostante le profondissime differenze culturali, di lingua e perfino di alfabeto, comunichiamo quasi senza problemi finche' si tratta di discutere di fisica: e' proprio vero che la scienza ha un linguaggio universale. Ci sediamo nella sala conferenze che affaccia sulla bellissima foresta di bambu' (prima che fosse costruito, tutta l'area era coperta di bambu'). Ciascun conferenziere ha un bellissimo bento-box che e' una scatola nera di legno al cui interno ci sono milioni di piccoli bocconcini ognuno nel suo piccolo scompartimento. Alcuni sono veramente ottimi. Naturalmente, in Giappone, l'aspetto del cibo conta quasi quanto il sapore e tutto e' servito in modo molto elegante. Si mangia solo con le bacchette e Lo preferirebbe dover risolvere, bendato, un cubo di Rubik quadridimensionale. Pero' se la cava ancora bene, nonostante la ruggine. Bisogna avere un po' di pazienza e almeno si mangia con calma. E' buffo che noi invited speakers e tutti gli organizzatori della conferenza sono trattati come dei re, ma gli studenti e i conferenzieri non invitati vengono liquidati senza troppi complimenti: andate a mangiare alla mensa oppure cercatevi un ristorante! Forse e' un sintomo della verticalita' della societa' giapponese? Alla sera c'e' subito la conference dinner, ma questa volta e' per tutti i conferenzieri. Attraversiamo il campus e la passeggiata e' quasi gradevole, ma neanche alla sera non si riesce a stare all'esterno per piu' di pochi minuti. Si va al 15esimo piano dell'edificio principale dell'universita', dove c'e' un elegante ristorante "italiano". Si inizia con un brindisi, dove Teich, un voluminoso professore della Boston university viene obbligato (in quanto keynote speaker) a fare un discorso formale che precede il "kampai!", cioe' il brindisi. Lo non lo vedeva dai tempi di Boston, ma lui si rivela molto affettuoso e lo saluta calorosamente. Tutti gli invited speakers vengono invitati a fare anche loro un breve discorso in un ordine gerarchico che probabilmente deve essere stato studiato con molta attenzione e deve aver causato non pochi grattacapi allo spumeggiante Shige che e' il simpatico organizzatore locale (ma ha detto Holger che ha fatto quasi tutto lui e il suo gruppo). Per il brindisi c'e' la scelta tra birra, sake', vino, aranciata e l'immancabile te'. Lo commette l'errore clamoroso di brindare con il vino che sa ancora di succo d'uva! Vabbe' tutto sommato e' bevibile. La cena e' a buffet e ci sono un sacco di cose molto buone compresa una specie di interpretazione degli spaghetti al ragu' fatti con qualcosa che assomiglia solo lontanamente alla pasta (sono udon o noodles?), ma e' buona. La specialita' di Hiroshima, che Holger consiglia caldamente, sono delle specie di pallette marroni. L'aspetto e' veramente poco invitante e Lo aveva saltato, ma chiaramente non si puo' ignorare la specialita' locale e, incoraggiato da Holger, Lo assaggia timoroso: ha ragione Holger! Il sapore e' molto buono: sono una specie di palla di farina e uovo che racchiude un cuore di polipo o altro mollusco. Lo si riempie prontamente il piatto. La cena e' gia' finita alle 20 (iniziata alle 18!) Meno male, Lo probabilmente avrebbe problemi a reggere al jet lag ancora a lungo. Veniamo caricati (solo gli invited speaker, naturalmente) su eleganti taxi neri guidati da compassati guidatori in guanti bianchi e veniamo accompagnati al nostro albergo. Per fortuna la carta di credito miracolosamente inizia a funzionare e Lo non deve dormire sotto il cavalcavia di fronte. Per evitare di cedere ad andare a letto troppo presto, Lo si fa una passeggiata e scopre di essere di fronte alla piazza dove c'era la scimmietta quella mattina. Molti dei negozi sono ancora aperti. Lo entra in un enorme supermercato di elettronica per comprare l'ebook reader per Lu, ma deve arrendersi: il supermercato e' enorme e i commessi non spiccicano una singola parola di inglese. Questo e' un negozio di elettronica piccolo, sono solo 5 o 6 piani da 1000 metri quadrati ciascuno. Lo scoprira' a Hiroshima quali sono i negozi "grandi". I supermercati giapponesi sono molto buffi: entri e vieni bombardato da una cacofonia di suoni impossibile. Su molti scaffali c'e' una piccola televisione dove una pubblicita' per qualcuno dei prodotti sullo scaffale viene strillata da persone allegre nello schermo. Tutti i prodotti che possono fare un qualche rumore (telefoni, televisori, computers, ecc.) fanno i loro versi in continuazione a tutto volume. Considerato che perfino gli ascensori in Giappone hanno una vocina che ti dice il piano, praticamente tutti gli elettrodomestici parlano. La confusione e' indescrivibile. Dopo 15 minuti Lo vorrebbe avere un mazzapicchio da 10 chili per mettere a tacere tutto e tutti. I commessi di questi negozi devono avere nervi d'acciaio: proprio dei veri discendenti dei samurai. Il giorno dopo la conferenza finisce gia', dura solo due giorni. Lo riesce a salutare lo spumeggiante e rotondeggiante Yutaka, giapponese molto atipico per la sua espansivita' e sempre molto allegro. Era stato un suo collega a Boston l'ultimo anno che Lo era stato li'. Fa piacere vederlo e lui ricorda che Lu l'aveva mazzolato per qualche motivo: che sorpresa! SuperLu non si smentisce. La sera siamo invitati al ristorante per lo shabu-shabu, anche se in teoria la conferenza e' gia' finita. Lu e Lo erano stati a mangiare lo shabu-shabu a Boston, accompagnati dalla nostra amica giapponese Kay e suo marito Jim, e Lo e' curioso di provare il "vero" shabu-shabu. Il ristorante e' chiaramente elegantissimo. Le cameriere, molto carine, vestono i kimono. Dice Holger che l'apparenza inganna: e' tutt'altro che un abito semplice da indossare e la complicata cintura e' impossibile da indossare senza l'aiuto di un'altra persona. Bisogna anche qui togliersi le scarpe e sedersi sui cuscini appoggiati per terra (sui tatami). Naturalmente tutto il pasto (tranne la minestra) va mangiato con le bacchette! Iniziamo subito a pasteggiare a sake' (molto buono, ricorda un po' la vodka polacca, speriamo non abbia lo stesso effetto a sorpresa!) e l'allegria aumenta visibilmente. La cena e' un trionfo di cucina giapponese: mangiamo 1213 portate minuscole, ciascuna presentata con grande eleganza, ciascuna nel suo particolare piatto, ciotola o bacinella. Ad un certo punto arriva lo shabu-shabu: ognuno ha davanti una vaschetta d'acqua, sotto cui le cameriere accendono un fuocherello dando fuoco ad una specie di pastiglia di paraffina. Ben presto l'acqua bolle e mettiamo a cuocere la verdura e la carne. Specialmente la carne e' molto buona. I giapponesi apprezzano molto il taglio: per poter tagliare la carne cosi' sottile, bisogna essere estremamente abili e loro sono pronti ad ammirare l'abilita', qualunque sia l'ambito in cui tale abilita' si manifesta. Nella nostra cultura piu' pragmatica, avremmo semplicemente usato un'affettatrice, ma Lo non si azzarda neanche a chiedere perche' non usano un tale strumento: probabilmente questa domanda apparentemente innocua potrebbe essere un'offesa mortale per il povero chef che avra' passato 10 anni della sua vita ad allenarsi a tagliare la carne in modo "perfetto"! La cena e' molto lunga e quasi tutti i piatti sono veramente ottimi, con sapori stranissimi. Chiude la cena una specie di dolce fatto di tofu, il "formaggio" di soia locale. Teich, deve anche oggi fare un discorso per il kampai e sussurra sotto i denti a Lo che ha le ginocchia distrutte per lo stare accovacciato! Il giorno dopo Holger e Lo vanno a Hiroshima assieme. Prendono lo Shinkansen, il treno superveloce giapponese. La locomotiva elegantissima sembra uscita da un manga o direttamente dal set di Star Wars. Il viaggio e' molto gradevole e il GPS di Lo segna 297 Km/h per gran parte del tragitto. Il cambio di treni e' molto buffo, la coincidenza e' di 3 o 4 minuti, ma la cosa non sembra turbare nessuno. I treni spaccano il secondo! A Hiroshima, viene Masataka a prenderci alla stazione. E' un giovane collega di Holger, molto entusiasta che dirige un laboratorio di ottica quantistica. E' molto simpatico e in gamba: ci tiene molto a mostrare i suoi esperimenti. Anzi, ci tiene a far spiegare i suoi esperimenti ai suoi giovani studenti che cosi' si allenano a parlare inglese, cosa di cui hanno effettivamente un disperato bisogno. Il suo studente Riugi (la "R" iniziale va pronunciata come un misto di "r", "d" e "v", spiega Holger con naturalezza, come se la cosa fosse possibile) non sa spiccicare una parola ed e' imbarazzatissimo. Lo teme che compia un gesto inconsulto, ma lui prende il suo tremendo imbarazzo con una divertente autoironia. Se Lo capisce qualcosa dell'esperimento, e' solo grazie alle integrazioni del capace Masataka! La sera Masataka ci tiene molto a portare Lo a cena fuori. Per l'occasione viene cooptato l'imbarazzato Riugi che pero' assorbe bene il colpo e da' addirittura l'impressione di divertirsi. C'e' anche un altro studente che parla inglese molto meglio. La cena si svolge in un bar della citta' ed e' fatta di solo cose fritte. Tutto fritto dall'inizio alla fine: pesci, tofu, carne, bacon, verdure. Il tutto accompagnato da una teoria di bottiglie di Sake'. Lo dorme nel faculty club del campus, una struttura estremamente elegante che affaccia su un enorme lago che domina il campus, dove era gia' stato la volta scorsa. Lo decide, ahime', di fare una corsa anche se deve per forza correre con gli scarponi per mancanza di meglio. Dopo mezz'ora ha sudato circa dieci litri, anche se ormai e' buio. Deve stendere tutti i vestiti fuori dalla finestra ad asciugare. In stanza bisogna dormire di necessita' con l'aria condizionata accesa per evitare di transire allo stato liquido o gassoso durante la notte. Il giorno dopo per pranzo si va a mangiare alla mensa: dopo la lunga discussione di fisica della mattina ci voleva proprio. La mensa e' sorprendentemente buona e molto economica: si mangia Soba, una specie di piatto di spaghetti di riso (?) freddo che bisogna intingere in una ciotola di delicata minestra fredda: molto rinfrescante, anche se pescare gli spaghetti dalla minestra con le bacchette non e' l'attivita' piu' semplice del pianeta. Perche' non e' cosi' anche la mensa di Pavia, mannaggia?! La sera Holger decide che e' una buona occasione per fare un'uscita di gruppo e una serie di vocianti studenti giapponesi (ma anche un cinese, un coreano e un malesiano che ci raggiunge solo dopo per via del ramadan) si dirige a piedi fino al ristorante: in questo modo tutti possono pasteggiare con il sake', non solo quelli che non guidano. La serata e' molto gradevole e a poco a poco gli studenti si sciolgono e iniziano a fare domande a Lo su un po' tutto, a partire dalla fisica per arrivare alla bellezza delle ragazze australiane: Riugi ha vinto una borsa di studio per un viaggio in Australia (condizionato al migliorare il suo inglese, anzi il suo non-inglese) e sembra molto interessato a questo particolare, che sicuramente e' molto piu' importante di tutta la fisica messa insieme! La cena sembra non finire mai: il cameriere continua a portare portate su portate. Alla 15esima portata non e' neanche piu' divertente e Lo non ne puo' piu' di cibo, per fortuna sono piatti comuni e gli studenti sono forzati a finire tutto dallo spumeggiante Masataka! La cena finisce allegramente alle 23. Lo si offre di pagare una buona fetta della cena, ma chiaramente ha commesso una gaffe e Masataka sembra dispiaciuto. L'indomani infatti restituira' a Lo buona parte dei soldi. Holger spiega che c'e' un'etichetta particolare per dividere i soldi della cena: in Italia con la divisione "alla romana" la facciamo troppo semplice! Qui ciascuno deve mettere una quota proporzionale al proprio "rango". Dice Holger che in teoria quindi lui avrebbe dovuto mettere una quota piu' grande, ma alla fine Lo, Masataka e Holger fanno parti uguali e gli studenti mettono una quota piu' piccola. La cena e' stata molto gradevole, anche se la stanchezza di Lo si sta accumulando (due congressi di fila forse e' un po' eccessivo!) Il giorno dopo Lo deve dare il suo seminario all'universita' di Hiroshima e gli studenti del gruppo di Holger sembrano seguire con attenzione, tranne Riugi che probabilmente ha passato il resto della notte a continuare i folleggiamenti e si addormenta clamorosamente! Masataka fa un sacco di domande e il seminario termina con una interessante discussione. Ora si visita nuovamente il suo laboratorio dove viene mostrato un nuovo esperimento. Lo studente di oggi e' molto meno imbranato e quasi riesce a spiegare l'esperimento da solo: questo e' veramente un esperimento molto elegante e Lo fa i complimenti a Holger e Masataka (nonche' allo studente). Il giorno dopo, e' sabato: finalmente sono finiti gli impegni di lavoro. Sotto consiglio di Holger, Lo si dirige a Miyajima in treno+traghetto. Si parte con l'autobus urbano dall'universita', ma e' difficilissimo capire come funziona! Bisogna prendere un biglietto di carta con un numero da una macchinetta all'ingresso. Arrivati alla fermata giusta, bisogna guardare su un monitor il prezzo corrispondente al numero sul proprio biglietto e mettere le monetine in un contamonete davanti al guidatore: un sistema complicatissimo che funziona solo grazie all'efficientissima elettronica giapponese. Lo ci arriva solo perche' una signora impietosita gli mette in mano il bigliettino preso dalla macchinetta: i grugniti del guidatore non erano stati finora di molto aiuto e l'autobus era bloccato in attesa che Lo riuscisse a trovare il benedettissimo bigliettino che esce da un'apertura seminascosta! Alla stazione si parte subito: gli autobus urbani, puntualissimi come i treni, sono in coincidenza con i treni! Dal treno, Lo spia la campagna e poi la citta' di Hiroshima. Le case di campagna sono proprio quelle dei cartoni animati: i tetti curvi a punta e i pannelli scorrevoli al posto delle porte. Ovunque ci sono microscopici campi di riso. In citta' prevalgono le casette monofamiliari, anche se ci sono diversi condomini e anche molti palazzi. Le strade sono piccole, le macchine sono piccole, tutto e' piccolo. Le macchie di colore sono le "bending machine" (come scrivono qui, forse e' vero che la "v" e la "b" sono intercambiabili) che vendono incredibili intrugli di bevande. Miyajima e' un'isola con dei bellissimi templi. La sua caratteristica principale e' che il tempio piu' importante e' costruito sopra alla spiaggia (su delle palafitte) e viene completamente allagato durante l'alta marea. Lo e' molto curioso: come sara'? Scendendo dal traghetto, si viene accolti da una serie di cartelli (anche in inglese per fortuna) che avvisano i turisti dei cervi "selvatici" che ti portano via il cibo e possono addirittura diventare aggressivi: e' severamente vietato cibare i cervi. Cervi aggressivi!? In effetti il parchetto davanti allo sbarco e' pieno di cervi e i maschi hanno imponenti corna: certamente non vogliamo farli arrabbiare! Sono tutti molto mansueti. Lo si avvicina e ne accarezza uno, ma a quello delle sue carezze non gliene frega niente: e' chiaro che vuole del cibo! Lo si avvia sul lungomare verso la zona dei templi, se non ci fossero 85 gradi all'ombra sarebbe anche gradevole! Il viale e' fiancheggiato da enormi lanterne di pietra. Fanno la guardia delle enormi statue di leoni (?) molto arcigni. Sotto uno dei leoni, un costume da samurai con una serie di katane sono a disposizione dei turisti che si divertono a farsi fotografare vestiti da samurai con un improbabile elmo con una specie di antenna sopra. Il rosso portale del tempio e' in mezzo al mare: infatti siamo praticamente al picco di alta marea. Lo si dirige al primo tempio, in cima ad una salitina. Un bimbo sta cercando di avvicinarsi di soppiatto ad un cucciolo di cervo che sembra bambi e che fa finta di niente (o forse sta facendo "hiding"?) L'imponente tempio di legno grezzo e' fiancheggiato da una impressionante pagoda a 5 piani. Come al solito e' sempre buffa la punta delle pagode: sembra un'improbabile antenna per comunicare con qualche avamposto alieno su Marte. Bisogna togliersi le scarpe per entrare nel tempio, ma per fortuna al tempio mancano le pareti e sembra l'unico punto ventilato di tutta l'isola: Lo, che per l'escursione ha ritirato fuori i suoi fedeli scarponi, riesce ad evitare di ammazzare qualcuno... Il tempio contiene molti artefatti curiosi, inclusa un enorme guscio di tartaruga marina appeso ad un architrave. In un angolo una teca contiene due antiche barche: sono delle minuscole barchette o degli enormi modelli? Si opta per la seconda, ma il dubbio rimane. Non ci sono muri e la brezza bollente offre un minimo di "refrigerio". In assenza dei muri, appesi al soffitto ci sono molti dipinti e soprattutto molte scritte in giapponese. Probabilmente sono dei capolavori di calligrafia, ma il buzzurro Lo non puo' ne' accorgersene ne' goderne neanche sotto la minaccia di un mitra. Tocca ora al tempio piu' famoso, quello costruito sull'acqua. Qui bisogna pagare l'ingresso a dei monaci con vistosi costumi bianchi dai pantaloni a sgonfietto verde pisello. Uno esibisce con orgoglio un cappello nero a forma di pinna di squalo. Se non fossero serissimi monaci scintoisti, sembrerebbero usciti da un circo. Chissa' se le stole dei nostri preti fanno lo stesso effetto ai giapponesi? All'ingresso ci sono delle fontanelle e Lo ne approfitta per rinfrescarsi la faccia, ma nota gli sguardi incuriositi degli astanti: ha sicuramente commesso l'ennesima gaffe. Infatti, scopre piu' tardi che bisogna seguire uno specifico rito prima di entrare nel tempio: prendere la paletta di bambu', riempirla d'acqua alla fontana, lavarsi la mano sinistra, lavarsi la bocca, e poi far scorrere l'acqua avanzata sulla mano destra e sul manico della paletta per purificare pure il manico! Certo che un rituale cosi' complicato non puo' essere indovinato, cosa pretendono, uffa! E' l'ora dell'alta marea ed e' probabilmente il momento migliore di visitare il tempio, come testimoniano i continui scatti di macchine fotografiche di ogni tipo. Il tempio e' colorato di un allegro rosso e ci sono una serie di camminamenti coperti che collegano i numerosissimi edifici che sono tutti sospesi sull'acqua: tra le palafitte un granchietto si da un gran daffare a portarsi dei pezzetti di cibo alla bocca. Lo dimentica per un attimo il contesto e rimane affascinato ad osservare il granchio. Sembra un misto tra un robot e un extraterrestre, mentre con le chele afferra e porta alla bocca, afferra e porta alla bocca. In un gabbiotto, un monaco riceve dei libricini dai fedeli e con un pennello scrive elegantemente delle parole, intingendo il pennello in una ciotola rettangolare di china. Ogni tanto prende una saponetta di inchiostro solido e lo sfrega nella ciotola. Dopo passa il libretto ad un altro monaco che con grande cura mette un enorme timbro rosso sulle parole e restituisce il libretto al fedele in cambio di alcune monete. Lo rimane affascinato a guardare lo scriba che con enorme cura traccia questi segni misteriosi. C'e' un pontile che si affaccia verso il portale in mezzo al mare, guardato da feroci leoni con la coda fiammeggiante. Alcuni fedeli pregano nel tempio principale: monetina, preghiera, battito di mani, monetina, preghiera, battito di mani. Dopo il tempio acquatico, Lo si dirige verso il parco per il picnic. Fa una breve deviazione per entrare nel bosco: e' curioso di entrare in un bosco giapponese perche' volando sul Giappone si vede che le citta' sono densissime e i boschi e le montagne sono completamente disabitati: non solo non ci sono case, ma sembra che non ci siano neanche strade sterrate o sentieri. Di notte sulle montagne non c'e' neanche una singola luce, anche se in pianura sembra una distesa solida di luce. Chissa' perche'? Lo lo scopre subito: si tratta praticamente di una foresta sub-tropicale (il suo gps segna 34 gradi di latitudine) ed e' chiaro che qualunque sentiero non battuto verrebbe ricoperto di vegetazione nel giro di pochissimo tempo. La foresta e' un denso bosco e molto disagevole. Lo prova a seguire un vecchio sentiero, ma il sentiero si perde immediatamente: meglio tornare sulla strada principale. Arrivato al parco, si trova da solo, forse per il caldo insopportabile? Tutti i turisti sono rimasti vicino ai templi. Gli unici astanti sono un paio di cervi, ma questi sono meno addomesticati di quelli del porto e non si avvicinano. Uno dei cervi ha un enorme cornacchia appollaiata sulla schiena: sembrano due vecchi amici che guardano con curiosita' Lo. Questi goffamente inciampa e mette in fuga la cornacchia e il cervo. Peccato, altro che la grazia di Biancaneve! Finalmente il picnic, su un tavolo all'ombra. Non che l'ombra serva a qualcosa: si continua abbondantemente a sudare anche stando fermi! Ieri al supermercato Lo si era comperato due oninidi: sono dei triangolini di riso pressato con dentro vari possibili condimenti, avvolti in un foglio di alghe. Lo si era fatto ridere dietro da una imbarazzatissima signora alla quale aveva chiesto di tradurre i geroglifici: nonostante l'imbarazzo, la signora aveva capito! Effettivamente Lo e' riuscito ad acquistare l'oninidi al salmone. E' molto buono, ma la cosa piu' divertente e' che sono incartati in modo estremamente elaborato, quasi un origami. Riuscire ad aprirli senza rovinarli e' un'impresa che richiede un PhD in topologia geometrica. Finiti gli oninidi Lo commette un clamoroso errore tattico: un cartello avverte che il sentiero fino alla cima della montagna e' molto duro e faticoso. Come evitare la sfida? "Fatica" non inizia neanche a descrivere la tortura giapponese a cui Lo si deve sottoporre. Ci saranno 40 gradi all'ombra con 80% di umidita'. Quella misera passeggiata di 200m di dislivello su sentiero pavimentato risultera' l'escursione piu' estrema di tutta la sua vita. Il sudore scorre a fiumi. Con sorpresa Lo vede che addirittura ha due macchie di sudore sulle ginocchia dei pantaloni!! La maglietta e' ben presto zuppa e i pantaloni pure. Le mutande sono una specie di spugna intrisa di acqua salata che iniziano a segare l'inguine di Lo fino alle ascelle. Inizialmente un ruscello scorre a fianco al sentiero e Lo si ferma ripetutamente a mettere la testa nell'acqua, ma ben presto anche quell'apparente quanto inutile sollievo cessa e il sentiero inizia a salire impietosamente verticale su dei gradini di pietra. Il bosco e' molto interessante ed e' chiaro che l'isola e' un luogo di culto. Ogni roccia interessante, ogni albero grande ha una statuetta di qualche santo (?) su cui i fedeli hanno lasciato una monetina (monetina-preghiera-battitodimani). La passeggiata sarebbe veramente gradevole se ci fossero 30 gradi centigradi in meno e Lo assiste stupito alla discesa di un paio di gruppi di giapponesi tutto sommato abbastanza freschi: che siano dei super-eroi? Solo dopo scoprira' che c'e' una funivia per arrivare in cima alla montagna, cosi' non vale!! Nessuno, a parte Lo che ha commesso un evidente errore tattico, sale a piedi. Comunque, dopo un po' Lo arriva al passo e inizia ad aprirsi un meraviglioso panorama: ne valeva la pena dopo tutto. Finalmente in cima con il vapore che esce dalle orecchie si vede tutta la baia di Hiroshima: il panorama merita veramente, anche se tutti i turisti arrivati in funivia tolgono un po' il gusto della vittoria. Lo si cimenta in una arrampicata per arrivare sulla roccia piu' alta. In lontanza si vede la citta' di Hiroshima, e Lo non puo' fare a meno di pensare che cosa si deve essere visto da qui il giorno in cui fu sganciata la bomba atomica. La discesa e' un po' meno massacrante della salita, ma i vestiti marci sono proprio fastidiosi. Si scende da un percorso diverso, dominato da una cascata che sembra presa da un film del Vietnam. Al fondo del sentiero, Lo stremato arriva ad un altro tempio. Sembra molto interessante e non riesce a resistere alla tentazione di visitarlo, anche se, ahime', bisogna salire una lunghissima scalinata con al centro dei curiosi rulli di metallo sul corrimano: mentre si sale o si scende, bisogna farli ruotare con una mano. E' un tempio buddista, ed e' molto piu' simpatico del piu' famoso tempio scintoista visitato prima. Ci sono molte statue di animaletti del bosco che porgono dei vasi, sembrano piu' consone alla sezione della bella addormentata a Disneyland. Ai bordi del tempio c'e' un improbabile statua verde di cartapesta che rappresenta un grassissimo furetto o volpe, accanto ad una enorme testa di legno sferica e rossa di un ciccione dal diametro di un metro: sarebbe difficile immaginarsi un paio di oggetti meno improbabili. Un altro angolo contiene i resti di un falo': evidentemente e' usato per bruciare le tavolette rituali dove i fedeli scrivono le loro preghiere. Lo si avventa su una "bending" machine e si scola (anzi si inala da una narice) una bottiglia d'acqua senza neanche prendere fiato. Uno dei templi contiene un enorme esercito di statuette di legno alte una ventina di cm. Saranno 4000 tutte assolutamente identiche: fanno la guardia ad una specie di altare centrale. Per entrare nel tempio principale bisogna nuovamente togliersi le scarpe. Lo ora e' seriamente preoccupato di far cadere le papille olfattive ai presenti e di uccidere tutta la fauna dell'isola, ma per fortuna ci sono solo due ragazze che stanno pregando intensamente e/o fanno finta di niente. Il tempio e' pieno di tesori. Molti quadri bellissimi (un quadro di una cascata notturna: rapide pennellate bianche in uno sfondo nero), un cristallo di quarzo trasparente alto mezzo metro, una elegantissima stautetta fatta da una sfera sorretta da uno stelo affusolato. In un angolo c'e' un altare dedicato al Dalai Lama che e' ritratto sorridente in un paio di fotografie. E' molto bella come "foto ufficiale": effettivamente irradia serenita' perche' sembra un benevolo nonno che ti guarda con affetto. La parte piu' bella del tempio pero' e' sicuramente il giardino. In cima alla scala c'e' una campana appesa dentro ad una impalcatura, proprio come nei film e nei cartoni animati: i turisti si divertono a suonarla con sonori gong. Sotto ad una scala c'e' il giardino delle statue: si inizia con statuette di bambini ciccioni molto buffe e poi ci sono centinaia di statuette alte mezzo metro di compassate persone con grosse orecchie (sono tutti dei Buddah?). Sono tutte diverse le une dalle altre: ognuno fa qualcosa di diverso. Fiancheggiano il sentiero nel parco e lungo la discesa hanno tutti dei buffi cappellini di lana colorati, tutti diversi l'uno dall'altro. A Lo il solo pensiero di un cappello di lana fa venire una sincope da ipertermia, ma per fortuna il cielo si e' annuvolato e inizia a tuonare. Se anche iniziasse a piovere, poco male: piu' bagnati di cosi' e' impossibile, a meno di finire in fondo all'oceano pacifico. Di nuovo Lo arriva al mare e vede i cervi "selvatici", di cui non c'era alcuna traccia in tutta la foresta. Uno particolarmente intraprendente infila il naso nella tasca di un compassato signore che si prende un mezzo infarto, un altro sta leccando con gusto un bicchiere di plastica ai piedi di un signore in carrozzella. Poveri cervi, fanno un po' pena, sembrano aver perso ogni segno della loro compassata regalita'. Ora la marea si e' abbassata notevolmente: il tempio e' rimasto all'asciutto e ormai la spiaggia arriva quasi al portale. Lo, assieme ad altre 10000 persone vi si avvicina. Tutti si fanno fare le foto e alcuni temerari si tolgono le scarpe per passarci sotto. La marea e' notevole: il segno dell'acqua e' quasi all'altezza della testa di Lo e non siamo ancora alla bassa marea. Lo decide che e' ora di tornare a casa e si dirige al porto ma passando per la cittadina di Miyajima. Le strade sono pedonali e molto graziose con le casette tipiche, peccato che e' una teoria continua di negozi per turisti. Lo decide di fermarsi a Hiroshima per cercare il lettore di ebook per Lu, ma anche per evitare di beccarsi una broncopolmonite virulenta e purulenta: tale epilogo sarebbe certo se dovesse passare un'ora nel treno completamente fradicio di sudore con l'aria condizionata a -10. Ad Hiroshima, Lo, ancora non pago del disastro, decide di andare a piedi al negozio di elettronica che gli aveva indicato Holger. Nel giro di dieci minuti e' nuovamente marcio, anche se ormai e' sera e la temperatura e' scesa. Purtroppo e' aumentata l'umidita' che ormai condensa spontaneamente. Infatti, ben presto inizia un temporale tropicale con fiumi di pioggia improvvisa. Lo, in uno stato patetico, tira fuori il gore-tex che si era portato in caso di pioggia, ma si rende conto che non ha senso metterlo sulla maglietta fradicia di sudore-pioggia: si denuda in mezzo alla strada con grande scandalo dei compassati giapponesi che non suderebbero neanche a fare una passeggiata sulla faccia esposta al sole del pianeta Mercurio. Sotto la pioggia, Lo sbaglia clamorosamente strada, ma questo e' un bene, perche' arriva alla capitale di tutti i negozi di elettronica: due edifici affiancati di nove piani ciascuno dove si vende solo roba elettronica: dal puntatore laser, al saldatore, alle celle fotovoltaiche, agli impianti stereo da audiofili. Qualunque cosa abbia elettroni che scorrono al suo interno per conduzione elettrica si puo', qui, trovare in vendita! Lo rapidamente trova il lettore ebook per Lu, ma e' difficile capire le caratteristiche: tra i 2100 che lavorano qui non c'e' un solo commesso che spiccichi una parola in inglese!!! Una commessa gentilissima si da' da fare con il suo elaboratissimo smartphone. Un po' a gesti, un po' scrivendo (per fortuna usano gli stessi nostri numeri!) e un po' con il traduttore ci si accorda per il lettore. Lo poi passa religiosamente in rassegna tutti e 20 i piani (ce ne sono anche un paio sotterranei!), trovando cose che neanche immaginava potessero esistere. Purtroppo anche qui non trova tutto quello che vorrebbe, ma ne esce soddisfatto e con il portafogli di molto alleggerito! E' ora di tornare a casa: Lo e' in uno stato pietoso e non vorrebbe essere arrestato per accattonaggio. Arrivato alla guest house si butta nella doccia senza quasi togliersi i vestiti. Il giorno dopo e' il giorno della partenza, ma l'aereo parte alle 1930, quindi c'e' tutto il tempo per visitare la citta' di Hiroshima, tanto, nelle parole di Holger, c'e' da vedere solo il punto dell'esplosione nucleare, non c'e' nient'altro visto che la citta' e' stata completamente rasa al suolo da quell'evento. Stavolta Lo prende il tram per arrivare al parco della pace, ma bastano 300m appena sceso dal tram per termalizzare nuovamente alla temperatura del nucleo di una supernova. Lo attraversa il famoso ponte a "T" che era stato usato dai piloti come bersaglio per lo sgancio della bomba e si trova sotto alla famosa cupola di Hiroshima, che e' il simbolo dell'era delle armi nucleari. Fa molto effetto vedere con quale cura e' stato preservato. Addirittura sono state lasciate le macerie cadute dai cornicioni: fa impressione vedere una casa diroccata, ma "perfetta". In pieno stile giapponese, anche le macerie sono curate nei minimi dettagli. Dopo la guerra era stata lasciata in piedi solo perche' era troppo difficile da demolire. Poi ci fu un grande dibattito se abbatterla (i sostenitori dicevano che era solo un ricordo triste) oppure se lasciarla in piedi come simbolo. Per fortuna ha prevalso la seconda opzione, ed e' diventato un simbolo molto potente che tutto il mondo ora conosce. E' stato eletto come monumento dell'Unesco e, con una punta di polemica, un cartello ricorda che gli Stati Uniti e la Cina hanno votato contro. Inizia un viaggio nel tempo tristissimo. Anche se la cupola e' la cosa piu' famosa, e' sicuramente la meno triste, forse perche' e' cosi' familiare. A un centinaio metri di distanza c'e' un cippo di marmo che ricorda l'epicentro, in mezzo a due grattacieli e ad un parcheggio. La bomba e' scoppiata a 600 metri di quota proprio qui sopra, ma quello che fa impressione e' la statua di un Buddah dedicata alla cura dei bimbi o qualcosa del genere 40 metri piu' in la': la bomba atomica ha lasciato il segno dell'ombra della statua sul suo pedestallo. La pietra e' stata cotta dal calore dell'esplosione che qui ha raggiunto i 3000-4000 gradi centigradi. Sul pedistallo della statua sono state incollate delle tegole cotte dall'esplosione che probabilmente sono tutto cio' che rimane del tempio dove si trovava la statua. Come molte altre statue giapponesi, anche questo buddah e' stato rivestito da un vestitino rosso, ma qui fa molta piu' tenerezza del solito: quali sofferenze ha visto questa statua! Il parco e' costellato di memento che tutte le citta' del mondo hanno donato a Hiroshima, alcuni di buon gusto, altri meno. Il parco e' molto elegante. Il centro e' una specie di arco allungato da cui si vede la cupola che spunta in mezzo agli alberi. L'arco e' evidentemente una specie di cappella, e molte persone si fermano a pregare a farsi la foto. C'e' anche un'anziana signora che forse ha vissuto questi eventi in prima persona: chissa' se ha perso qualche caro qui? Lo si dirige al museo, anche per scampare alla calura. Sicuramente e' il museo piu' triste che si sia mai visto. Il contrasto con il museo della bomba atomica di Los Alamos e' cosi' stridente che fa quasi male: laddove li' si celebrava tale strumento di morte, qui si fa vedere quali sono le conseguenze. Non c'e' dubbio su quale sia il messaggio piu' forte. Persino il muro del museo di Los Alamos che era stato dedicato alle vittime (dopo le proteste ricevute) ha un messaggio che non e' lontanamente paragonabile. Il museo e' a pagamento, ma e' una quota simbolica: 50 yen, cioe' circa 40 centesimi. E' ovvio che i giapponesi, giustamente, ci tengono a fare in modo che il messaggio che questo museo comunica arrivi ovunque. Il museo inizia un po' sottotono, con la storia di Hiroshima. Poi iniziano i reperti che fanno via via salire il groppo alla gola in un abile crescendo di tristezza. Si parte dalla storia della citta', si passa alla lettera firmata da Einstein che convinse il presidente degli USA ad avviare la costruzione della bomba e tutta una serie di documenti di guerra. Fa impressione una serie di documenti che dimostrano che gli USA avevano impedito che le citta' predestinate al bombardamento nucleare fossero bombardate da bombardieri convenzionali: volevano studiare l'effetto del bombardamento nucleare. Che razza di esperimento. Ovviamente la gente di queste citta' era molto tranquilla e quel giorno proprio non si aspettava nessuna sorpresa: stavano tranquillamente facendo le cose che la gente fa tutti i giorni. La banca stava per aprire e i bambini stavano andando a scuola. Un orologio da polso in una teca e' fermo alle 8:15, il momento dell'esplosione. Segue poi una sezione sui vari tipi di bombe nucleari. La bomba atomica a fissione e' un petardo se confrontata alla bomba a fusione di idrogeno: la piu' potente mai detonata e' alcune MIGLIAIA di volte piu' potente. A Hiroshima ci sono stati 280.000 morti. Chissa' se e' stato un bene che sia stata usata la bomba qui, prima che la tecnologia delle bombe a fusione fosse pronta?! Naturalmente, questa e' una mia riflessione, non certo il messaggio del museo, ma se la bomba di Hiroshima ha ucciso la gente in un raggio di pochi chilometri (3-5), la bomba a idrogeno ha ucciso (durante un test nel pacifico del sud) alcuni pescatori che si trovavano per sbaglio su una barca a 150 CHILOMETRI di distanza. La fortissima (giustificatissima) reazione che Hiroshima ha suscitato ha per fortuna impedito che bombe nucleari venissero usate nei conflitti successivi quando una simile esplosione avrebbe avuto conseguenze ben piu' catastrofiche, per quanto impossibile possa sembrare! Ormai le generazioni che hanno vissuto in prima persona questi episodi stanno scomparendo, e' importantissimo che non passi questo sdegno. Questo museo ha veramente un ruolo cruciale in cio'. Finora il museo e' stato solo informativo, come qualunque altro museo, ma la carcassa di un cavallo imbalsamato con i segni delle radiazioni fa capire che ora si cambia tono. Si entra in un'altra sala attraverso un corridoio fatto a forma di macerie: dai buchi nei muri si vedono le scene della citta' distrutta, prese da vecchie foto. Girato l'angolo si vedono dei manichini con pezzi di vestiti e di pelle che cade. Sembra una scena di pessimo gusto, ma serve a preparare alla terribile sala successiva, dove alcune teche che contengono i vestiti dei bambini uccisi. Non solo ci sono i vestitini tutti bruciati, ma c'e' il nome e cognome e la storia dei bimbi che quel giorno li indossavano. C'e' una sottoveste annerita di una bimba con la spiegazione che se l'era cucita da sola. La scarpetta di un'altra bimba (nome e cognome) che aveva un buco che lei aveva rattoppato con della carta. I pantaloncini di un bimbo sono tutti bruciati sulle coscie. C'e' anche la gavetta con il pranzo di un bimbo, tutta mezza fusa e con il pranzo carbonizzato ancora dentro: la mamma l'aveva trovata sotto il corpo carbonizzato del figlio. Fa un'impressione fortissima pensare a questa mamma che gli prepara il pranzo, e dopo poche ore quel rimasuglio carbonizzato e' tutto cio' che le rimane del figlio: solo il pensiero che lei l'ha conservato per decenni e' una testimonianza fortissima. In un'altra teca ci sono degli occhiali con le lenti fuse dal calore. La didascalia racconta la storia della proprietaria: una signora gentile che abitava li' e che non se li toglieva mai. Nella sala successiva hanno portato gli scalini della banca: una persona che stava aspettando che la banca aprisse e' stata letteralmente vaporizzata. Tutto cio' che rimane e' un'ombra stampata dal fuoco nucleare sui gradini. Naturalmente nessuno ha mai potuto sapere di chi si tratta, ma molti hanno suggerito che potesse essere un loro familiare che quel giorno doveva recarsi in banca. Poco distante ci sono delle sezioni dei piloni del ponte a "T" che non e' crollato, ma e' stato deformato in maniera impressionante dalla forza dell'esplosione. In mezzo a tutta questa tristezza c'e' anche un'opera d'arte spontanea: la bomba ha scoperchiato una casa e la pioggia nera radioattiva successiva all'esplosione ha segnato con lunghe lacrime nere il muro bianco. E' anche questo un messaggio potentissimo. Purtroppo le conseguenze dell'esplosione si ebbero anche a distanza di decenni. Forse la testimonianza piu' triste di tutto il museo e' la storia di una bimba, Sadako, che sopravisse all'esplosione avvenuta quando lei aveva due anni. Una decina di anni dopo, quando era un'adolescente piena di vita e amante dello sport si ammalo' di leucemia. Qualcuno le aveva detto che alla millesima gru di origami un suo desiderio sarebbe stato esaudito, e al museo hanno raccolto alcuni delle suoe mille gru, ma il suo desiderio non e' stato esaudito ed e' morta. Lo si commuove veramente a leggere di questa storia sotto una teca piena di delicati gru di origami colorati. Una gru di carta colorata contro l'arma piu' potente della storia. Eppure e' chiaro quale dei due trasmette il messaggio piu' forte: stranezze della psiche umana... Non si puo' parlare in termini astratti della bomba atomica: si tratta di persone con un nome e un cognome e una storia, bambini di due anni, bambine di 13 che si erano cucite il vestitino da sole, bimbi che andavano a scuola con il cibo preparato dalla mamma. Dopo queste storie cosi' tristi, i soliti oggetti fusi (bottiglie, monete, statue, tegole) che tanto avevano impressionato Lo quando li aveva visti da piccolo al museo dell'ONU a New York non vengono quasi notati. Ci sono perfino delle mattonelle cotte dal fuoco nucleare che si possono toccare per vedere come la loro consistenza sia stata alterata. Il museo e' un colpo veramente forte e Lo deve sedersi un attimo per riprendersi. Dopo c'e' un mausoleo delle vittime: contiene un mosaico della citta' distrutta composta di 280000 mattonelline (una per ogni morto), per dare un'idea di quante sono. Le mattonelline sono delle tessere di un mosaico e riempiono un'intera parete circolare molto alta con un diametro di 50 m: veramente impressionante. Anche qui si punta tutto sull'evitare la spersonalizzazione: in un angolo su una serie di monitor scorrono le immagini delle persone uccise con foto, nome cognome. Una percentuale molto alta sono bambini, molti neonati con foto sgranate, altri adolescenti che guardano la telecamera con fierezza... Uscendo dal mausoleo su una parete hanno messo una stratigrafia del terreno che hanno ottenuto scavando per creare il mausoleo che e' sotterraneo. Si vedono tutti gli strati storici dell'occupazione della citta'. C'e' un evidente strato di detriti anneriti che si riferisce al giorno dell'esplosione nucleare: il tempo seppellisce, ma i segni in profondita' rimangono. Lo compra una sciarpa della pace per Lu: a lei piacciono tanto le sciarpe e dopo tutta questa tristezza e' importante avere un minimo di speranza per il futuro. Lo esce dal parco e si reimmette nella caotica via cittadina: la vita continua per fortuna, ed e' giusto cosi'. La citta' sembra essersi ripresa completamente dal suo terribile passato. Una via pedonale coperta e' piena di negozi. Davanti ad un negozio di telefoni un supereroe uscito da un manga fa pubblicita' ai telefoni. Passa una sfilata di gente con palloncini gialli preceduta da una allegra e vociante ragazza: un signore ha in testa un'enorme testa a pallone che e' l'evidente caricatura di qualcuno: che sia una sfilata a favore di qualche politico locale? Sembra una scena importata pari pari dal Messico! Lo entra in un famigerato Pacinko parlor, dove giapponesi inebetiti guardano delle palline d'acciaio che cadono lungo una specie di percorso stile flipper. A differenza del flipper, non pare che qui si possa influenzare la traiettoria delle pallette piu' di tanto: c'e' un'unica manopola che pero' non viene praticamente toccata. La musica (anzi la cacofonia di centinaia di macchinette sommata alla fortissima musica giapponese/tecno) e' assordante. Un campione locale ha i tappi per le orecchie e siede trionfante su una serie enorme di cesti di sfere di accaio. Lo riesce a resistere per ben 30 secondi prima di scappare a gambe levate, pensando a Giulio che non riusciva neanche ad avvicinarsi ai Pacinko parlor: per lui erano la "morte dell'illuminismo". Se Lu si inorridisce per le slot machines dei bar della Duchessa, ad entrare in un Pacinko le verrebbe un sintomo! Lo entra in un altro negozio di elettronica e acquista le ultime cose che gli servivano (cuffiette nuove e microfono per il computer, chissa' se ora finalmente si riesce a comunicare via skype con Lu?!). E' ormai ora di partire e Lo si dirige all'aereoporto di Hiroshima sperduto in mezzo alle montagne. La fine della pista di atterraggio e' su una specie di cavalcavia, in Giappone bisogna sfruttare ogni singolo spazietto. Decollo, finalmente: che viaggio! Breve, ma emotivamente molto intenso!